Quel “cecchino” nato nelle trincee italiane sfotteva Cecco Beppe
TRIESTE Se parole come moka, ghirba o sventola vi dicono qualcosa, o se semplicemente vi incuriosiscono o vi fanno sorridere, allora è forse il caso di approfondire la conoscenza sul loro contesto d'origine: il fronte della Grande Guerra. Il conflitto del 1914-18 fu infatti anche un enorme crogiolo di culture e lingue e costituì un immenso laboratorio linguistico.
Una fonte di prim'ordine, in questo senso, è costituita dai cosiddetti "giornali di trincea". Tali fogli, destinati direttamente ai combattenti, corredati da vignette e illustrazioni varie (spesso di pregevole fattura), nelle infinite attese in trincea supplivano al bisogno di dialogo col mondo civile, all'interesse per l'informazione basilare e al desiderio di sdrammatizzare, in qualche modo, i disagi vissuti ogni giorno.
Frequenti erano anche i neologismi e i modi di dire che, continuamente ripetuti, entrarono successivamente nella quotidianità: i fogli di trincea si rivelarono così anche un'autentica miniera di nuovi vocaboli e forme espressive, giunti fino ai nostri giorni.
Ad esempio, il verbo "arrangiare" era riferito specialmente all'azione di cercare, trovare, o rubare. "Attaccare bottone" era riferito a un discorso lungo e tedioso. Una cosa fatta "a capocchia" significava senza pensarci adeguatamente. Inelegante ma efficace, "casino" divenne un termine d'uso abituale per definire il senso di confusione e disordine. "Cicchetto", ancor oggi utilizzato, nacque per significare un severo "rimprovero"."Tagliare la corda": come s'intende oggi, significava scappare, ed era un'azione senza dubbio motivata anche dalla "fifa", cioè la paura provata dal "fifone", esattamente l'opposto del "fegataccio", il milite coraggioso, ovvero colui che era "in gamba", attributo di validità e capacità. "Fesseria" indicava una minchioneria commessa dal militare, per cui "fesso", inevitabilmente, era il minchione: "far fesso qualcuno" significava dunque imbrogliarlo. "Grana" era una mancanza, una contravvenzione al regolamento. Quando il superiore si accorgeva dell'irregolarità e ne chiedeva conto, si diceva: "pianta la grana". Chi non ne lasciava mai passar una era detto "piantagrane"; con "scoppia la grana" si soleva intendere quando qualcuno sta per piantarla.
Con "al tempo!" si richiamava qualcuno su un errore appena commesso, e col "bagnare i galloni" si brindava per l'avanzamento di grado. Due espressioni che si diffusero in quell'epoca furono "marcar visita" (l'essere o il darsi ammalato) e "Buona borghesia!", saluto a chi sarebbe andato in congedo e non avrebbe più indossata l'uniforme. Per "giornate calde" ci si riferiva ai giorni di combattimento. Andare in licenza? Era più facile vederla "col binocolo!", ovvero solo da lontano. Il "contrattacco" era qualunque attacco fatto dal nemico, mentre "silurare", verbo temutissimo tra gli ufficiali, venne associato al "bocciare" della vita borghese. I soldati, molto legati al senso pratico, per "fischiare" intendevano il dover fare a meno, per forza, di qualcosa: era riferito specialmente al bere, al mangiare e al fumare. Se "passare" era il trasferimento di una cosa rubata, "prelevamento" si diffuse invece col senso di preda di uomini od armi fatta al nemico e "sparatoria" come fuoco di vedette.
"Stangare" assunse, mantenendolo fino ad oggi, il significato di "punire, colpire, vincere". "Garantito al limone" era l'accentuazione di un'affermazione. Per i momenti di pausa c'era il "moka" (detto anche "ciurla" o "ciurlina"), ovvero il caffè (frase tipica tra i soldati: "Non è ancora venuto su il moka"). Per "cappello" si intendeva il risentimento prodotto da una lesione alla vanità, all'ambizione, alla presunzione. Quando il risentimento era molto forte si diceva "prender cilindro." Con "pignolo" la truppa bollava invece il superiore pedante che si perde in minuzie.
Nel corso della Grande Guerra i soldati si sbizzarrirono a coniare molte definizioni e descrizioni, talvolta estrose e simpatiche, più spesso corrosive, anche nei riguardi delle persone, delle istituzioni e delle procedure burocratiche.
"Buffa" era ad esempio il comune soprannome della fanteria, mentre uno dei più popolari termini della Prima guerra mondiale fu "cecchino". Il termine, riferito ai tiratori scelti austriaci in costante agguato, tanto temuti quanto odiati dalle truppe, derivò dal diminutivo del nomignolo Cecco Beppe attribuito all'imperatore austriaco Francesco Giuseppe.
Riferiti a persone che, senza far fatica, si garantivano un posto ben pagato, furono "mangiapane" o "mangiapagnotte", oppure "pagnottista", con implicita allusione ai cosiddetti "imboscati" attivi nelle retrovie o in qualche Ministero. Con "scartoffie" si faceva diretto riferimento a "relazioni, moduli, elenchi da trasmettersi, fonogrammi a voce, a mano, a piedi, carte periodiche e pratiche in genere sempre urgenti, urgentissime e speciali" (definizione tratta dal foglio di trincea "L'Astico" del 25 luglio 1918). Tutto ciò veniva descritto come un "tormento riservato esclusivamente ai comandi". Proveniente dall'artiglieria, "sventola" era il "colpo di grosso calibro". "Marmitta" era invece il colpo di medio calibro. Scelta anche per intitolare un giornale di guerra del tempo fu "ghirba", parola di origine araba: importata a seguito della guerra in Libia, indicava un recipiente di tela impermeabile per il trasporto di liquidi. Nel gergo dei soldati venne associata alla pelle, intesa come contenitore del sangue e della vita: "salvare la ghirba" voleva dire così "salvare la pelle" (o "pellaccia"). "Perdere la ghirba" o "lasciarci la ghirba", significavano quindi morire.
Uno dei termini più utilizzati in tutti i contesti, militari e civili, fu senza dubbio "imboscato", corrispondente al francese "embusqué", ovvero nascosto nel bosco: vennero classificati in questo modo tutti coloro che, pur indossando la divisa, si sottraevano al pericolo diretto del fronte restando dietro una scrivania o cercando di prestare comunque servizio nelle retrovie. Nel corso della Grande Guerra il termine venne pure esteso alle merci sottratte al consumo pubblico e celate a fini speculativi. Altri sinonimi canzonatori erano: "ciclamino", "filugello" (baco da seta) e "salesiano", una sottile allusione alla vita ritirata, secondo le prescrizioni originarie, degli appartenenti all'ordine fondato da don Giovanni Bosco.
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