Quel balzo nei sondaggi di Fdi e la “fame” di posti al sole che infastidisce gli alleati

Dati al 14% a livello nazionale i “patrioti” sanno di dover radicare il consenso alle comunali del prossimo anno. Intanto mandano segnali a Fedriga. Perché i conti in giunta non tornano  

TRIESTE Siamo piccoli ma cresceremo. Oggi Fratelli d’Italia pesa poco in Regione e nei Comuni, ma i seggi occupati raffigurano una situazione superata. I prossimi turni elettorali sembrano destinati a dare ragione al partito di Giorgia Meloni, in forte ascesa nei sondaggi, grazie alla capacità di sottrarre consenso agli alleati, che ricambiano con una bella dose di fastidio. Vento in poppa, dunque, ma anche necessità di risolvere le grane tipiche dei partiti che si sviluppano troppo in fretta.

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I meloniani si battezzarono “patrioti” al congresso nazionale di Trieste del 2017, unico tenutosi a Nordest nella storia della destra. Allora l’obiettivo (raggiunto) era il 5-6% alle regionali dell’anno successivo. Adesso gli eredi del Msi sono dati al 14%: percentuale sovrapponibile a quella dell’ex An, ma guai a nominare Gianfranco Fini, perché su di lui il giudizio è severissimo. La solidità della scalata in Friuli Venezia Giulia sarà misurabile alle comunali di Trieste e Pordenone del 2021, viatico delle elezioni regionali in cui due anni dopo i meloniani contano di andare ben oltre i tre consiglieri attuali.

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La proporzione con il gruppone di 17 leghisti è in effetti impietosa per un partito che sta diventando rivale del Carroccio. Lega, Forza Italia e Progetto Fvg guardano i patrioti di traverso e reagiscono compattandosi fra loro. In Consiglio si dice che le tre formazioni rivali prima stabiliscano una linea unitaria sulle decisioni e poi vadano al confronto coi patrioti. Massimiliano Fedriga non ha apprezzato lo “scippo” del consigliere leghista Leonardo Barberio passato a Fdi e i berlusconiani sanno che i meloniani chiederanno il posto dell’assessore alla Cultura Tiziana Gibelli, se questa lascerà davvero a metà mandato.

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La federazione tra azzurri e biniani va letta come il tentativo di rintuzzare i patrioti, tanto più dopo il passaggio di alcuni eletti a Fdi, dal sindaco di Codroipo Fabio Marchetti ai consiglieri comunali di Trieste e Duino Aurisina, Gabriele Cinquepalmi e Massimo Romita. Non scherza nemmeno la Lega, se in Fdi ci si lamenta che il Carroccio si sia più volte intestato le proposte della destra, come la legge per l’innalzamento degli anni di residenza per accedere alla casa popolare, fatta ritirare a Fdi e ripresentata a nome della giunta.

Il movimento cresce ma il radicamento territoriale è tutt’altro che omogeneo. La forza tradizionale è a Trieste e Pordenone, mentre c’è molto da fare a Udine, dove il coordinatore regionale Walter Rizzetto e il consigliere Barberio stanno facendo campagna acquisti fra gli amministratori locali di area civica per consolidarsi a livello di classe dirigente. La carenza di uomini vale un po’ dappertutto e non sarà semplice costruire liste forti in particolare a Trieste, anche se molti si stanno avvicinando e c’è anzi bisogno di far argine rispetto ai soliti avventurieri.

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Ma i patrioti si sentono forti e mandano segnali. A Trieste il trino Claudio Giacomelli (segretario provinciale, consigliere regionale e consigliere comunale) dice che la ricandidatura di Roberto Dipiazza è da discutere. Difficile che Fdi si distingua dalla volontà dell’uscente e della Lega, ma da una parte c’è la necessità di non farsi passare le decisioni sopra la testa e dall’altra il disagio per le difficoltà del centrodestra a produrre un ricambio generazionale. Non a caso, i patrioti spararono contro la nomina di Marina Monassi in Acegas alla vigilia delle europee. A Pordenone Fdi comanda invece con il sindaco Alessandro Ciriani, che rischia di vincere al primo turno nel 2021. Da vedere se sceglierà di ripresentarsi alla guida di una civica, con una mossa che nel 2016 fece imbufalire i vertici nazionali.

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La storia della destra è spesso storia di singole personalità. A Pordenone spiccano i fratelli Ciriani, con Luca che è oggi capogruppo al Senato dopo quattro legislature in Regione. Proprio uno dei due – ma qui siamo alla fantapolitica – potrebbe correre per la presidenza del Fvg, qualora Fedriga decidesse di non cercare il bis e la Lega optasse per cedere la Regione agli alleati in cambio di altre caselle sullo scacchiere nazionale. In Friuli emerge Rizzetto, che da deputato incassa i complimenti da Meloni per aver ottenuto l’audizione del presidente dell’Inps Pasquale Tridico dopo lo scandalo dei 600 euro. Per lui c’è anche una quota di gratitudine, perché il suo ingresso in Fdi mantenne il gruppo a quota dieci onorevoli e ne scongiurò lo scioglimento nel Misto. Rizzetto arrivava dal M5s e proprio qui nasce la rivalità con Luca Ciriani. Il pordenonese vuole far pesare la lunga militanza e dimostrare chi conta sul territorio: basti pensare che il reclutamento di Marchetti in Friuli è avvenuto all’insaputa di Rizzetto, assente alla conferenza che ha annunciato il passaggio.

A Trieste i due leader sono Giacomelli e Scoccimarro. Il primo punta al bis da capogruppo in Consiglio e alla gestione del partito, ritagliandosi il tempo per mandare avanti lo studio legale fondato dal padre Sergio, per decenni avvocato difensore dei camerati. Scoccimarro si vedrebbe di nuovo in giunta, dove è entrato nel 2018 su indicazione di Meloni, dopo essere rimasto escluso dalla candidatura alle politiche. L’assessore ha un rapporto personale con Giorgia, che viene spesso a Trieste in vacanza: potrebbe scaturirne una candidatura nazionale e magari il salto a sottosegretario all’Ambiente in caso di vittoria. Faro puntato poi su Roberto Menia, inviso ai patrioti locali per la vicinanza a Fini e la sempre discussa vicenda dell’eredità patrimoniale di Almerigo Grilz. Menia è entrato nel partito assieme ai reduci del Movimento nazionale per la sovranità. Il passo assicura a Fdi la maggioranza nella Fondazione An, che gestisce gli immobili ex missini: non è un caso che poco dopo la sede romana dei patrioti sia tornata in via della Scrofa. Impossibile che a Trieste si accetti una candidatura alle politiche di Menia, difficile che Meloni non collochi il creatore del Giorno del ricordo in un collegio blindato altrove in Italia.

Oltre ai nomi contano i contenuti e, per allargare il bacino elettorale, Fdi dovrà portarsi su temi concreti e ridurre gli interventi polemici sulle vicende storiche del confine orientale, da cui la destra trae peraltro un consenso sempre più limitato. I patrioti hanno cominciato a provarci: Giacomelli lavora sulla mozione trasversale per chiedere l’istituzione del regime di porto franco a Trieste (dieci anni fa sarebbe stata fantascienza sentir parlare la destra dell’Allegato VIII di sapore indipendentista), mentre Scoccimarro ha messo la faccia sulla chiusura della Ferriera e procede per risolvere lo stallo del Sito inquinato di Trieste e bonificare l’area di Torviscosa. Fatti concreti, per far dimenticare la vicinanza a Fdi del consigliere comunale friulano appena cacciato dal partito dopo aver posato in divisa da Ss. —

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