Quei riti cancellati e la vera ritualità
L’uomo ha sempre costruito la società fissando dei punti fermi. Questi servono a segnare dei riferimenti e dare la direzione di uno sviluppo, servono per orientarsi nel mondo e come fulcro per agire sulla realtà.
Tra questi orientamenti ci sono i riti e la ritualità. Il virus ce li ha portati via e ci siamo sentiti smarriti. Mi riferisco al rito religioso, di qualsiasi religione, ma anche ai nostri riti strettamente umani. Salutare qualcuno quando viene a mancare, e poterlo fare tutti assieme in un minuto di silenzio e riempire quel minuto di tutto l’affetto del mondo per lasciarlo andare. Questo ci è stato tolto e porteremo questa ferita a lungo nei nostri cuori.
Ci è stato tolto il rito di una stretta di mano con tutto quello che poteva significare. Il rito codificato o meno dei concerti quando si riaccendono le luci e guardiamo quello che ci sta vicino con un occhio diverso, arricchito da quello che abbiamo ascoltato e visto. Sono stati sospesi i matrimoni, i battesimi e anche tutti quei riti giovanili che aiutano a sentirsi meno soli. Non credo questi riti si possano sostituire con funzioni virtuali: il rito ha bisogno della partecipazione soggettiva profonda, di un esserci non solo con lo sguardo e con la mente, ma anche con il corpo. C’è una parte rituale nella scuola fatta dal prof che entra e guarda gli studenti ancora sulla porta. Non è lo stesso sullo schermo.
Possiamo trovare una parte rituale in molte nostre azioni. Credo che il virus ce l’abbia tolta ma ci ha permesso di fermarci e capire meglio certe cose mentre prima eravamo preda solo dell’atto reale svestito dalla parte di consapevolezza rituale. —
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