Quattro anni di angosce, delusioni e solidarietà nel libro dei genitori di Regeni
TRIESTE Ci sono i viaggi da ricordare con affetto e nostalgia, quelli vissuti anche come «relazione educativa con i propri figli», quando tutti e quattro - Claudio, Paola, Giulio, Irene - si partiva con appresso la tenda, e poi in camper, alla scoperta di culture, paesaggi, incontri ai quali aprirsi. C’è il viaggio più tremendo, quello dal Cairo all’Italia, a bordo dell’aereo che trasportava anche il corpo di Giulio. E c’è - dopo - il viaggio in un mondo mai vissuto prima. È il mondo delle false promesse e dei continui depistaggi attuati dall’Egitto. Ed è il mondo italiano delle istituzioni, della politica troppo spesso distante, degli «spazi di potere» con i loro meccanismi da imparare quanto più in fretta possibile così da potervisi rapportare al meglio. Un rapporto da gestire - faticosamente - non costretti nell’etichetta sgradita di «genitori della vittima», ma come cittadini «completi». Cittadini che, attorniati da amici vecchi e nuovi e da una solidarietà che dà forza, continuano oggi a chiedere «una verità processuale nei confronti di chi ha deciso sul destino della sua e delle nostre vite, di chi lo ha torturato, chi ha sviato le indagini, chi ha permesso e permette tutto ciò».
Sono tanti, intrecciati come voci su un pentagramma, i viaggi di cui si legge nel libro che Paola Deffendi e Claudio Regeni, assieme al loro avvocato Alessandra Ballerini, hanno scritto in «Giulio fa cose», in uscita oggi per Feltrinelli. Un libro che i genitori del ricercatore hanno voluto scrivere, dedicandolo alla figlia Irene, per «chiarire, per mettere i puntini sulle i» - come ha detto il padre di Giulio a Fabio Fazio, pochi giorni fa in tv a “Che tempo che fa” - della vicenda. Un’occasione per raccontare la storia di una famiglia che ha trasmesso ai propri figli la curiosità verso il mondo contribuendo a fare di Giulio - tratteggiato nel carattere, nelle passioni, nell’attività - uno dei «nuovi giovani internazionali» della sua generazione. E un’occasione per ripercorrere - nella narrazione ma anche nelle tante pagine dedicate a una dettagliata cronologia dei fatti - tutto quanto è accaduto dopo il 25 gennaio 2016. A partire da quella prima telefonata arrivata a casa Regeni per informare e al contempo invitare al riserbo assoluto. Una comunicazione partita il 27 gennaio: ma «come genitori avremmo dovuto essere avvertiti subito della sparizione di nostro figlio». E invece, in quello e nei giorni successivi, «lo Stato si era come impossessato di Giulio», sono le parole di Claudio e Paola Regeni che si chiedono, oggi, se sia stato poi giusto restare in silenzio nell’attesa, e non invece rendere pubblica immediatamente la situazione («La tempistica delle cose è uno degli aspetti che mi tormenta ogni giorno», scrive la mamma). Ma da cittadini rispettosi delle istituzioni, i Regeni seguono le indicazioni che vengono loro date, prima e dopo aver deciso di partire subito per Il Cairo. Da soli. Un aspetto, quello dell’aver dovuto organizzarsi da sé, che torna più volte: dal viaggio per l’Egitto a quello di rientro a Fiumicello. «Abbiamo dovuto fare tutto noi». Anche l’organizzazione del funerale, una delle tappe del nuovo viaggio intrapreso e non ancora terminato.
Un viaggio che nel tempo successivo diventa quello nella «farsa egiziana», ma anche nelle istituzioni, nella politica. Una politica contro la cui distanza e i cui atti non mancano nette parole d’accusa. Senza generalizzazioni. Perché nel libro vengono citate con gratitudine tante persone - dal Presidente Mattarella agli inquirenti italiani che sono riusciti a mettere sotto inchiesta cinque funzionari dei servizi segreti del Cairo, solo per fare qualche esempio - ma ci sono parole dure per una politica che «oltre a un certo punto non intendeva andare, per costringere, per fare pressioni sugli egiziani a collaborare». Così come c’è l’amarezza per «l’atteggiamento di sottomissione con il quale i nostri politici (tranne poche eccezioni) si recano al Cairo in successione per portare avanti affari, mossi da interessi economici e politici». Una strada segnata dal ritorno al Cairo, annunciato a Ferragosto, dell’ambasciatore - Giampaolo Cantini - il cui rinvio nel nome dell’ineludibilità dell’Egitto quale partner, paese cruciale nell’area mediterranea, è affiancato da una serie di indicazioni per la ricerca della verità che ai genitori di Giulio paiono oggi essere state disattese. Mentre le «finte rassicurazioni» reiterate dal presidente egiziano Al-Sisi «rientrano evidentemente in una strategia per cercare di diluire nel tempo e far dimenticare il più possibile la nostra pretesa di verità».
Sono tante altre le delusioni e le amarezze subite: dalla chiusura giunta dall’Università di Cambridge, da dove Giulio è partito per la sua ultima ricerca al Cairo; alla rimozione degli striscioni gialli, compresi quelli sui palazzi del Municipio di Trieste e della Regione; alla mancata tutela di Giulio al Cairo da parte della sua tutor; fino alle ricostruzioni su un Regeni sospetta «spia». E non invece - precisano ancora i genitori - ricercatore accademico. Tradito al Cairo da qualcuno di quelli che riteneva amici.
Ma c’è poi il viaggio nella solidarietà di un «popolo giallo» che continua a sostenere la richiesta di giustizia per un giovane uomo cittadino del mondo, ma che «probabilmente» avrebbe voluto vivere in Italia. Dalle pagine emergono figure, episodi, situazioni che aiutano Paola Deffendi e Claudio Regeni a proseguire nella propria battaglia. Così che, quattro anni dopo, lo scrivono all’indicativo: «La verità dopo un po’ tracima», «esonda dalle coscienze di carnefici e testimoni». Di qui l’appello, a chi in Egitto sa, a parlare, anche in forma anonima grazie alla piattaforma creata da “Repubblica”. «Perché Giulio fa cose, ma non può fare tutto lui», scrivono i suoi genitori. —
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