Quando Fincantieri al tempo dei Cosulich costruì il super-ponte sulle Ande argentine
Dietro la proposta di Bono per la ricostruzione a Genova c’è l’esperienza di un gruppo che risale ai primi anni Venti
TRIESTE Il Ceo di Fincantieri Giuseppe Bono conosce benissimo la storia industriale del gruppo che dirige. E quando candida il colosso dei cantieri triestino a ricostruire il ponte Morandi di Genova evoca una storia industriale fatta di grandi navi da crociera ma anche di ponti, stadi e grattacieli. Per questo Bono dice che Fincantieri «ha tutte le conoscenze per costruire un’opera del genere». Il simbolo più importante (ma anche stranamente dimenticato) di questa storia è infatti uno dei più grandi ponti in ferro del mondo, sulle Ande argentine, il viadotto La Polverilla. Ebbene, questo ponte, costruito negli anni Venti, è Made in Fincantieri. Nulla di cui stupirsi.
Qui stiamo parlando di un’impresa epica sotto il nome dei Cosulich, la grande dinastia industriale triestina che dà il nome ai cantieri di Monfalcone. Nel 1929 la Compañia Industrial Cosulich di Buenos Aires ordina un grande ponte ferroviario che viene progettato nel Cantiere San Marco di Trieste: gran parte delle 1600 tonnellate d’acciaio del ponte, forgiate presso la Ferriera di Servola, furono imbarcatte a Monfalcone e trasportate in Sud America sulle navi degli stessi Cosulich. La progettazione fu affidata all’Officina Ponti e Gru del Cantiere San Marco di Trieste con la competenza e l’esperta manualità “artigiana” de tecnici dei cantieri di Monfalcone. I Cosulich all’epoca gestivano le traversate dei migranti dal Mediterraneo alle Americhe. I cantieri di Monfalcone, già famosi per le grandi navi Saturnia e Vulcania da 24 mila tonnellate, avevano cominciato a “diversificare” puntando anche sulla costruzione degli idrovolanti e sulla realizzazione di ponti e viadotti in ferro. Una storia raccontata dallo storico navale triestino Maurizio Eliseo nel libro “Amare un cantiere” pubblicato da Carmania Press (Londra, 2009): «Quelle 1680 tonnellate di acciaio che oggi uniscono Salta ad Antofagasta -spiega Eliseo - sono l’esempio più rilevante sulla produzione di ponti e gru nei cantieri triestini nei primi anni Trenta. Costruiti sui modelli di ingegneria navale, erano altamente antisismici perchè flessibili come la cosiddetta “trave scafo”, una sorta di colonna vetrebrale, fatta di costole e acciaio imbullonate fra loro».
Il viadotto “La Polvorilla” prende il nome dal grande canyon che attraversa a quasi 4.200 metri di altezza. Questa monumentale opera di ingegneria tutta triestina che unisce Salta e Antofagasta, fra Argentina e Cile, resta uno dei più alti ponti ferroviari esistenti al mondo e ancora oggi attrazione turistica grazie al “Tren de las nubes” così chiamato perchè corre in quota sul livello del mare. Il viadotto, un manufatto di ferro e acciaio lungo 224 metri, è stato costruito per resistere all’escursione termica delle notti andine fra montagne e deserto. La Cosulich riuscirà a trasportare gli elementi manufatti del ponte via nave da Trieste a Buenos Aires e poi a destinazione su 120 carri ferroviari. Un’impresa epica. L’assemblaggio richiederà sforzi quasi sovrumani a causa delle frane, delle frequenti scosse sismiche e di un vento spesso superiore ai 100 chilometri orari. Lassù impegnati nella costruzione del ponte c’erano operai italiani emigrati in terra d’argentina, triestini e friulani. Un ambiente oggi si direbbe multietnico. E lassù pare lavorasse anche un croato di nome Josip Broz che successivamente sarà conosciuto con il nome di Maresciallo Tito (vedi l’articolo sotto). Fincantieri, che oggi ha una società controllata specializzata in progettazione, realizzazione e montaggio di strutture in acciaio, mettendosi al servizio della drammatica emergenza che ha colpito Genova, rilancia per questo una tradizione industriale già scritta. —
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