Quando a Trieste c’erano più calzolai che banche
C’erano più callisti che sportelli bancari, più calzolai che ragionieri. Una vecchia “Guida commerciale del 1946-47 della Venezia Giulia - Trieste e Pola”, ritrovata tra gli scaffali di un rigattiere, fotografa un tessuto professionale cittadino decisamente diverso rispetto all’attuale. Con mestieri oggi dimenticati o praticati da pochissimi abili artigiani. Sono tante anche le attività commerciali scomparse.
Basta analizzare alcuni dati per evidenziare i netti cambiamenti. I calzolai a Trieste allora erano 338, e altri 39 se ne contavano nella provincia di Pola. Uno in ogni angolo di città. I calzaturifici aperti erano invece 78. Oggi, di calzolai a Trieste, se ne contano 13, un paio di botteghe dedicate a questa attività sono state aperte negli ultimi due anni. «Volete fare un affarone? Comperate alla bottega dell’Occasione», recitava la pubblicità di una delle 97 botteghe di rigattiere sistemate non solo nella parte della città più vecchia ma pure in via Molino a Vento, in via Broletto o a Roiano. Erano allora solo 12 i negozi di abbigliamento femminile, otto quelli dedicati all’uomo, a fronte però di 37 importanti sartorie che confezionavano abiti per signora e 72 dedicate solo ai tagli maschili. A fianco 18 camicerie, sei laboratori per la realizzazione di busti per signora, cinque rivendite unicamente di impermeabili, 22 cappellerie dedicate all’uomo (due delle quali per la creazione su misura di cappelli di paglia) e 66 modisterie che confezionavano copricapo da donna. Non mancavano di conseguenza nemmeno i laboratori (nove) specializzati nella riformatura e nella pulitura dei cappelli. Ma per chi doveva fare piccole riparazioni e rammendi c’erano quattro “mendaresse” e pure sei laboratori che aggiustavano calze.
Non esistono più gli ombrellai, gli artigiani che riparavano ombrelli sostituendo bacchette rotte e manici spezzati, eseguendo anche rattoppi alla stoffa. Sono spariti i carrai che progettavano e costruivano carri in legno, i nove sellai e i maniscalchi ma pure i bilanciai e i cinque bottai che costruivano botti in legno. La nostra città con il passare dei decenni e l’avanzare degli strumenti tecnologici ed elettrici ha detto addio alle rivendite di ghiaccio, al riparatore di sedie, allo stagnino e all’arrotino. Alla cura della bellezza e al benessere della persona si dedicavano i 274 saloni di barbieri e parrucchiere per signora ma pure i 14 callisti, per lo più uomini. Tra le professioni riportate allora sulla guida anche quella dei musicisti. Se ne contavano 59. Sfogliando il curioso volume si trova anche la lista dei 19 scultori che allora operavano nelle loro botteghe. Tra loro anche Ugo Carà con il suo laboratorio in via Ponchielli 3 e Marcello Mascherini che lavorava al civico 20 di via Fabio Severo. Nutrita anche la lista dei registi e degli scenotecnici (22), dei pittori (79) tra i quali Edgardo Sambo e Carlo Sbisà o degli autori e scrittori (115). Le banche presenti allora a Trieste erano 13, per un totale di 15 sportelli bancari. Tra questi quello della Banca Triestina che aveva sede al civico 7 di via Mazzini, quello della Banca nazionale Giuliana di via Cassa di Risparmio 5 e via San Nicolò 9 oppure della Cassa triestina di Credito e Depositi di via Torrebianca 19. Erano 26 allora i notai: 23 gli attuali che operano con uno studio. I ragionieri nel ’47 erano 186, 312 gli avvocati, 209 gli architetti, 19 i veterinari, 73 gli amministratori di stabili. Non mancavano già allora coloro che si occupavano di vendite e rate (sette) e i “sensali” (10), sorta di mediatori in affari e contratti di vario tipo che fungevano da intermediari tra venditore e acquirente nella stipula di accordi.
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