Putin sul Vršic e a Lubiana tra pace e nuove egemonie
LUBIANA. In Russia neanche gli storici conoscono l’episodio del 1916 che ha visto la morte di centinaia di soldati russi che stavano costruendo il passo del Vršic per il rifornimento del fronte dell’Isonzo sotto una valanga. Non ne sanno nulla neppure al Museo di storia contemporanea di Mosca. Ma lui, lo Zar, ha capito che proprio quella piccola cappella dedicata ai soldati russi su una montagna in Slovenia poteva essere l’occasione, nel corso della celebrazione del suo centesimo anniversario, per dare scacco alle potenze occidentali e alla Nato, per affacciarsi personalmente e al di là dell’embargo determinato dal conflitto in Ucraina, sul “fronte” geopolitico dei Balcani, regione ancora fortemente contesa tra Mosca e Washington transitando per Bruxelles.
E se Putin sa molto bene che cosa vuole, altrettanto non si può dire della diplomazia slovena che rischia, dopo essersi beccata la reprimenda degli Usa per l’invito al presidente russo, di rimanere con un pugno di mosche in mano. E a nulla è valso l’appello che alcuni diplomatici di lungo corso con esperienza all’Onu, all’Osce e alla Nato hanno rivolto al ministero degli Esteri della Slovenia. L’idea era quella di riuscire a produrre insieme agli ospiti russi un documento congiunto in cui tra i punti espressi ci sarebbe stato quello della necessità di collaborazione tra la Russia e l’Occidente visto che il terrorismo sta proponendo nuove terribili sfide al mondo intero con Mosca che dovrebbe rendersi conto che i sui nemici più che nascosti in Occidente sono annidati nel suo Oriente.
Così facendo, spiegano alcuni analisti, la diplomazia slovena avrebbe dimostrato la sua abilità, la sua capacità di azione e anche, perché no, la sua ambizione di diventare il ponte tra la Russia e gli altri Paesi con cui convive e coopera nell’Ue e nella Nato. Ma al ministero degli Esteri non si è fatto nulla e la visita viene descritta solamente come un generico - che rischia anche di essere generalista - appello alla pace che sarà lanciato dai versanti del Vršic.
Meno dilettantistico, invece, l’approccio del presidente della Repubblica, Borut Pahor, il vero artefice dell’invito e dell’arrivo di Putin, che in un’intervista all’agenzia di stampa russa Tass ha affermato che Slovenia e Russia hanno posizioni diverse su alcuni fatti di attualità, ma «proprio anche per queste diversità la presenza di Putin ha un valore aggiunto». E se il gabinetto del presidente Pahor si affretta a comunicare che la visita di Putin sarà solo una «visita di pietà per i fatti del Vršcic, il Cremlino invece parla di «visita ufficiale» e afferma che le parti dialogheranno ai massimi livelli sui punti chiave della cooperazione bilaterale per quanto concerne il commercio, l’economia, gli investimenti, la cultura e temi umanitari e ci sarà altresì un confronto sui principali temi dell’agenda internazionale e regionale (leggi Balcani).
E qui sta il punto caldo. I Balcani sono a tutt’oggi l’area in cui Washington e Mosca si fronteggiano, una sorta di guerra fredda senza muri o fili spinati. La Russia nella regione è fortemente infiltrata nei vari Stati e nelle loro strutture di difesa con le sue talpe ben infiltrate negli apparati di Montenegro e della Republika Srpska. Dai servizi di intelligence è anche trapelata la notizia che il presidente di Banja Luka, Milorad Dodik avrebbe promesso proprio a Putin un area militare all’interno della Republika Srpska. Lo scopo è quello di evitare che la Bosnia-Erzegovina entri nella Nato. Stesso lavorio è in corso anche nei confronti della Macedonia.
Nel frattempo però Mosca ha dovuto incassare la sconfitta dell’ingresso proprio del Montenegro nell’Alleanza Atlantica perdendo così di fatto la potenzialità di avere un approdo sul Mediterraneo da affiancare a quello sirirano di Tartus. E proprio per questo adesso Mosca sta rivolgendo moltissime attenzioni alla Serbia. La prova? Le difficoltà del premier serbo incaricato Alexandar Vucic nel dare vita al nuovo governo nonostante abbia ottenuto quasi la maggioranza assoluta dei suffragi. Mosca, infatti, vuole avere i “suoi” uomini nei punti chiave dell’esecutivo di Belgrado. Altrettanto vuole anche Washington e Bruxelles. Risultato? Vucic„ rischia di non dare vita al “suo” governo. Senza dimenticare che il centro umanitario russo creato a Niš altro non sarebbe che il primo passo per la creazione di un’area militare russa in Serbia. E di fronte a tali giochi scarsa sarà la risonanza delle manifestazioni anti-Putin annunciate dai mille ucraini di Slovenia per l’invasione russa in Crimea.
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