Putin: l’embargo fa male a Mosca e Ue
LUBIANA. Durante la solennità sul Vršic per ricordare i cento anni della cappella dei russi il presidente Vladimir Putin si era dimostrato “aperturista” nei confronti dell’Unione europea parlando di «unitarietà dell’Europa per costruire la convivenza», ben spalleggiato anche dalle parole del metropolita russo Ilarion parlando di fratellanza tra popoli slavi ed europei. Ma solamente la sera, a Brdo pri Kranju durante la cena di gala offerta in suo onore dal presidente della Slovenia, Borut Pahor, lo “Zar” ha gettato finalmente la maschera.
Putin infatti ha messo direttamente il dito nella “piaga” parlando delle sanzioni commerciali dell’Ue (peraltro appena prolungate per altri sei mesi) che creano un profondo vulnus economico in tutto il Vecchio continente, Russia compresa. Ricordiamo che non ha dato certo una mano all’economia di Mosca neppure il calo del prezzo del petrolio che, assieme alle sanzioni, ha determinato una preoccupante caduta del rublo.
«Purtroppo vediamo una caduta nel nostro interscambio commerciale - ha affermato il leader del Cremlino riferendosi proprio all’Unione europea - che ha subito un calo pari al 45 per cento». «L’interscambio di merci tra la Russia e gli Stati Uniti (li ha menzionati per la prima e l’unica volta in tutta la sua visita in Slovenia ndr.) era di 28 miliardi di dollari, mentre quello tra la Russia e l’Unione europea ammontava a oltre 400 miliardi di euro e adesso si è praticamente dimezzato stabilizzandosi sui 224 miliardi di euro. Certo - ha concluso Putin - questi numeri non sono paragonabili. Comunque non vanno bene né gli uni, né gli altri». Insomma le sanzioni pesano eccome al pur sempre grasso ventre russo.
E lo “Zar” lo ha ammesso. Chiaro che l’offensiva diplomatica del presidente russo aveva quale suo scopo fondamentale proprio quello di accentuare i problemi collegati con il regime delle sanzioni scattate a causa dell’invasione dei militari di Mosca della Crimea e delle intromissioni russe nel conflitto regionale a Est dell’Ucraina, nel cercare di ottenere in un futuro il più prossimo possibile un loro affievolimento. Con la crisi economica mondiale che morde ancora il freno Putin sa bene di toccare un tasto molto sensibile a quasi tutte le cancellerie europee e, come dicono gli analisti, non è escluso che tra sei mesi queste sanzioni possano essere rivedute almeno in parte. Il suo essere slavo ha fatto breccia nel cuore degli sloveni che lo hanno applaudito sul Vrši› come una rock star. E ha fatto breccia anche tra gli esponenti del governo di Lubiana presenti sabato sera a Brdo pri Kranju sotto la guida del premier Miro Cerar. Slovenia che ha già dovuto subire anche il pesantissimo contraccolpo della cancellazione del progetto South Stream di cui era socio attivo attraverso la partecipata Geoplin.
I due capi di Stato hanno parlato anche dei vari problemi che riguardano la sicurezza internazionale, leggi terrorismo su tutti, ma su contenuti Putin ha detto che vige il massimo «top secret» e Pahor certamente non ha tradito la parola data al più famoso e potente “collega”.
Pahor che, dal canto suo, non si è certo nascosto dietro il carisma dello “Zar”. «Cinque anni dopo la sua ultima visita in Slovenia - ha detto il presidente - possiamo dire che la crisi economica sta passando, ma nel frattempo se ne sono create altre. La Slovenia come membro della Nato da una parte e la Russia dall’altro si sono alquanto allontanate». «È mio desiderio - ha concluso Pahor - di riuscire a mettere da parte le cause che hanno determinato questo allontanamento e di sforzarci con il dialogo a risolvere in modo pacifico tutti i dissapori che a tutt’oggi sussistono, anche perché sono convinto che il mondo libero ha bisogno della collaborazione di tutti quelli che sono necessari per vincere la sfida degli attuali grandi problemi». Alla fine un quasi amichevole “da svidànija”.
Putin ha parlato di sanzioni in un Paese europeo e quel Paese europeo si è detto, seppur timidamente, pronto alla mediazione tra i due blocchi (Occidente e Russia) nel comune intento di vincere la guerra contro il terrorismo. Forse nessun vincitore, solo un incoraggiante “ics” diplomatico.
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