Punto nascita, porte chiuse: domani inizia il trasloco
Sopra la porta la scritta con la doppia dicitura “Ostetricia-Pediatria” non rimarrà ancora per molto. Questo è certo. Da lunedì prossimo, il punto nascita di Gorizia non esisterà più e la cicogna, anziché atterrare in via Fatebenefratelli, dovrà prendere la via di Monfalcone o di Sempeter. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, può mettere piede al primo piano del San Giovanni di Dio. Capirà subito la situazione. «Ti piace questo reparto?» chiede l'infermiera a un ragazzino uscendo dall'ala centrale delle degenze. «Domenica lo chiudono», dice senza tradire emozioni. Nel suo tono non traspare né rimpianto, né compiacimento. La sua è una semplice constatazione dei fatti. Dopo qualche passo incrocia una collega e rivolgendosi a lei aggiunge: «Mi dovrete sopportare ancora qualche giorno». A differenza di prima, questa volta, però, nel suo parlare c'è una vena ironica. Viene sottolineata con un mezzo sorriso che rimane comunque velato. In fondo al corridoio di Ostetricia, appesi ad una porta, ci sono due fiocchi: uno è rosa, l'altro è azzurro. Se non sono gli ultimi della storia cittadina, poco ci manca. Da domani chi c'è, c'è; e chi non c'è, verrà dirottato altrove. Con la morte del punto nascita, con ogni probabilità, lunedì qualcuno potrebbe virtualmente sostituirli con un fiocco nero. Potrebbe essere appeso alla cancellata esterna al posto dei quattro bianchi ancora legati al recinto dell'ospedale. La speranza è ormai finita. Il conto alla rovescia è vicino allo zero. La giunta regionale non ha lasciato margini di manovra. La governatrice Debora Serracchiani e l'assessore alla Sanità Maria Sandra Telesca sono state perentorie: indietro non si torna. La riforma sanitaria va avanti per la sua strada e in quest'ottica la bandiera azzurra con l'aquila del Friuli Venezia Giulia che, insieme a quella italiana e a quella europea, sventola di fronte al San Giovanni di Dio sull'asta più vicina all'ingresso, suona quasi come una presa in giro. In fondo, nonostante la natalità sia abbondantemente sotto la soglia limite dei 500 parti l'anno, i quattro posteggi riservati alle donne in gravidanza con il simbolo della cicogna e il bambino in fasce sono tutti occupati. Certo, come specificato dalla segnaletica verticale, l'indicazione non è prescrittiva e, se violata, non costituisce un'infrazione al codice della strada; ma, con tutti i difetti del caso, Gorizia rimane pur sempre una città asburgica nello spirito e non c'è motivo di dubitare che chi ha posteggiato sulle strisce rosa ne abbia davvero diritto. «Da domani questa porta si chiude», è la sentenza di un'amministrativa che dà indicazioni a medici e infermiere sul prossimo futuro del reparto. La porta è sempre la stessa, quella da cui si accede al reparto degenza di ostetricia. Mentre la discussione sul piano d'azione va avanti, sullo sfondo una manna con la culla si sgranchisce le gambe e chissà se si è resa conto “del grave rischio corso” decidendo di partorire al San Giovanni di Dio. Dalla corsia arrivano inevitabili vagiti. Quando parte il primo, poi seguono gli altri. «Che schifo 'sta chiusura: hanno ucciso una città», si lascia scappare un'infermiera che, evidentemente, come molti goriziani, non condivide il piano Telesca-Serracchiani. Eccezioni a parte, nonostante il trasloco ormai imminente, il personale non dà l'impressione d'essere insofferenza. Almeno in pubblico, la professionalità rimane alta e l'umore sembra positivo. Quando è possibile, si ride e si scherza. La giornata scorre via tranquilla tra visite in corsia, visite d'ambulatorio e pasti. L'unico indizio di smobilitazione arriva ad una manciata di minuti dalle 16.30: un'infermiera esce con un carrello pieno di cartelle cliniche. Sono dei neonati di Gorizia che partono per Monfalcone?
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