Punti nascita, Telesca accelera sul taglio

«Assurdo manterne undici in una regione di 1,2 milioni di abitanti». Piano di riconversione dei piccoli ospedali allo studio
Di Marco Ballico

TRIESTE. A poche settimane dalla nomina ad assessore alla Salute, Maria Sandra Telesca fu diplomatica: «L’accorpamento dei punti nascita sotto soglia? Il problema è capire come intervenire, sentirò i direttori generali». Sei mesi dopo, ormai pienamente in sella, le parole diventano molto più nette: «È assurdo mantenere in una regione di 1,2 milioni di abitanti ben 11 punti nascita».

La riforma

I campanili se ne faranno una ragione: stavolta si taglia. La posizione di Telesca emerge a Udine, nel corso di una serata al Lions Club, con l’assessore che accetta l’invito del presidente Davide Rigonat e offre alcune anticipazioni sulla riforma sanitaria. Parla di riconversione degli ospedali “minori”, spostamento dei servizi sul territorio, abbattimento dei localismi e, senza titubanze, riduzione dei punti nascita.

Gli indirizzi nazionali

Il Friuli Venezia Giulia, su questo fronte, è decisamente in ritardo. Stando al “Patto per la salute” 2010-12 siglato tra governo e Regioni, si raccomanda di adottare stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale, fissando il numero di almeno mille nascite/anno quale parametro standard a cui tendere, nel triennio. La possibilità di punti nascita con meno di 500 parti/anno, si legge ancora nel Patto, potrà essere prevista solo sulla base di motivate valutazioni legate alla specificità dei territori.

Sotto soglia

Questione di sicurezza. Ma in vari casi in regione non si arriva nemmeno alla quota più bassa. Lo rilevò pure la giunta Tondo nella deliberà che recepì gli indirizzi nazionali, senza peraltro alcun intervento conseguente. Stando alle rilevazioni 2005-2011, Gorizia non ha mai raggiunto recentemente i 500 parti e pure Latisana, Monfalcone e Tolmezzo stanno sotto quella soglia. Telesca, sollecitata dai soci del Lions, chiarisce che la situazione va cambiata. Localismi, conflitti tra territori, competizione tra professionisti? «Barriere da superare – afferma l’assessore –: bisogna mettersi in rete, i medici devono aprirsi ai colleghi, inutile ripetere tra province le stesse competenze». E anche la politica deve fare la sua parte, optando per scelte coraggiose, spiegando ad esempio ai cittadini che è «assurdo mantenere in una regione di 1,2 milioni di abitanti ben 11 punti nascita. Alcuni registrano solo 250 nascite all'anno, cioè un parto ogni giorno e mezzo. Meglio spostarsi di 20-30 km e partorire in sicurezza, dove di bambini ne nascono tanti e i medici sono, per forza di cose, più esperti».

Riconversione ospedali

Più in generale l’assessore descrive la sanità Fvg dei prossimi anni come «una rete di ospedali di eccellenza in cui convogliare determinate competenze, con le strutture più piccole che non dovranno più fungere da mere ripetizioni di quanto proposto nei centri più grandi». I servizi del territorio? «Saranno mantenuti da distretti, poliambulatori, medici di medicina generale e anche dalle farmacie, mentre l'ospedale dovrà essere "liberato" dai servizi delegabili e rispondere all'acuto». Nessuna chiusura di ospedali, in sintesi, ma «una riconversione» all’interno di un cambiamento culturale «in cui non si pensi più alla cura sotto casa, perché quando serve ci si sposta».

Welfare

Ancora Telesca recupera il tema del welfare che tanto preoccupa i sindacati. Se il settore, stando ai numeri resi noti dalla giunta, perde complessivamente una quindicina di milioni di euro, l’assessore precisa che tagli così pesanti non riguardano le poste chiave. Anzi, «sul Fap, l'abbattimento delle rette delle case di riposo e il trasferimento ai Comuni dei finanziamenti destinati al sociale, siamo riusciti a mettere a punto alcuni interventi per cui, di fatto, manteniamo le cifre dello scorso anno». Più nel dettaglio, il Fap è stato recentemente integrato con 1 milione di euro sul 2013 e ci sono poi a disposizione anche 4 milioni di fondi statali «che ci consentiranno di non discostarci da una cifra che, nell'ultimo lustro, è sempre aumentata anche in assenza, per ben due anni, della quota nazionale prevista dal Fondo sociale».

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