Protesta in piazza a Budapest: no alla legge-schiavitù di Orban

Contro l’uso indiscriminato degli straordinati autorizzato dal governo magiaro. Il malcontento cresce nelle altre capitali: in diecimila contro Vucic a Zagabria
La manifestazione contro la vittoria elettorale di Viktor Orbán, il 14 aprile 2018, a Budapest (Laszlo Balogh/Getty Images)
La manifestazione contro la vittoria elettorale di Viktor Orbán, il 14 aprile 2018, a Budapest (Laszlo Balogh/Getty Images)

BELGRADO. La tendenza appare segnata e già molto evidente. Racconta di un malcontento crescente, di rabbia troppo a lungo soffocata e di voglia di cambiare, in Paesi dove chi governa gode però, secondo i sondaggi, di un sostegno popolare fortissimo, che sembra non poter essere scalfito. Paesi come l’Ungheria di Viktor Orban, invincibile a ogni tornata elettorale, nel mirino però di manifestazioni di piazza nei giorni scorsi, giornate caldissime in cui Budapest, la “Parigi dell’Est”, in molti momenti ha ricordato la Parigi originale, quella sotto scacco dei gilet gialli. Quelli magiari, in gran parte giovani e giovanissimi, sono uniti dall’ira verso le ultime, controverse, decisioni dell’esecutivo.

Pugno duro di Budapest sul dissenso vietate le manifestazioni anti-Orban
epa03047669 Protesters take part in a demonstration called by civil groups and three opposition parties against the government and the new constitution of Hungary near the Opera House in Budapest, Hungary, 02 January 2011. Top government and state officials are celebrating Hungary's new constitution, which came into effect 01 January 2011 at the Opera House with a gala evening. The new constitution was passed by the governing Fidesz party that holds a two-thirds majority in parliament. EPA/TAMAS KOVACS HUNGARY OUT


A scatenare le proteste, non massicce come numeri ma a volte violente, con lancio di lacrimogeni, feriti e arresti, iniziate mercoledì e andate avanti per tre giorni – con altre in programma – in particolare quella che è stata battezzata “legge-schiavitù”, un’arma in più alle imprese nel contrasto del problema della mancanza di manodopera. «Chi vuole lavorare di più potrà farlo» per incassare «più soldi», ha difeso la norma il premier Orban, assicurando che i critici sbagliano ad avversarla. È però invisa a opposizioni, sindacati e dimostranti, che non vendono di buon’occhio che il tetto degli straordinari volontari all’anno venga innalzato da 250 a 400 ore, aprendo le porte al ritorno del sabato lavorativo, come ai tempi del comunismo. E così il «non siamo schiavi» è stato uno degli slogan più in voga in piazza. Ma gli “indignados” sono infuriati anche per altre mosse del Fidesz del primo ministro, tra cui la “cacciata” dall’Ungheria della Central European University del tycoon Soros, la nemesi di Orban. E una nuova legge che istituisce tribunali amministrativi, dipendenti dal ministero della Giustizia. Ma non c’è solo Budapest, dove le dimostrazioni stanno spingendo le opposizioni a far fronte comune.

A Belgrado, dove il presidente Vucic gode secondo le analisi di oltre il 50% dei favori, anche ieri sera – malgrado il gelo e la neve – una grande folla di migliaia di persone, forse più delle diecimila segnalate la scorsa settimana, è scesa in strada in una nuova protesta anti-governativa, che si estenderà presto «a tutto il Paese», ha promesso il leader della Narodna Stranka, Vuk Jeremic. Tra le richieste al governo di vari partiti dell’opposizione – dagli europeisti alla destra di Dveri - stop a violenze politiche, più spazi nella Tv pubblica, controlli sulla regolarità del voto, pene draconiane per chi fa pressioni sugli occupati perché votino in un certo modo. «Non soddisferò alcuna richiesta» anche se «in cinque milioni» scenderanno in strada, il potere si conquista «con le elezioni», ha ammonito nei giorni scorsi Vucic. E proprio lo scenario voto anticipato è quello che sta emergendo ora, in Serbia, una maniera – dicono i maliziosi – per affossare la crescita delle opposizioni. Meno movimentata, per ora, la situazione a Skopje, dove l’opposizione nazionalista sta però cercando di riorganizzarsi, dopo la fuga dell’ex leader Gruevski in Ungheria. Un po’ di più in Croazia, dove è nato un gruppo che si ispira alle proteste francesi, «Gilet gialli croati», per ora 14mila su Facebook, alcune centinaia sono scese ieri in piazza a Zagabria, Pola e Cakovec.

Argomenti:balcani

Riproduzione riservata © Il Piccolo