Prostituta violentata e malmenata: a processo un uomo e la “collega”
Non furono, per il giudice per l’udienza preliminare Raffaele Morvay, le mandanti dell’aggressione ai danni della loro “concorrente” di marciapiede e connazionale romena C.E.S., 26 anni. Un’aggressione degenerata, secondo l’accusa, in violenza sessuale e rapina, per cui lo stesso giudice Morvay ha rinviato a giudizio il loro presunto protettore Codrin Lungu - 30 anni, romeno pure lui, in carcere da marzo per questo - in quanto esecutore e, a questo punto, autonomo ideatore. Furono invece, ritiene il gup, responsabili in prima persona di altre ripetute aggressioni alla “concorrente”. Aggressioni finalizzate a chiedere a C.E.S. il “pizzo” in cambio del permesso di vendere il suo corpo in Borgo Teresiano, là dove lo facevano anche loro.
Si delinea così il quadro giudiziario a carico di Vasilica Ionela Graor, 37 anni, Valentina Cristina Botea, 29, e Elena Georgiana Timofte, 26. Le prime due hanno patteggiato col pm Federico Frezza tramite i loro avvocati, Silvano Poli e Antonio Regazzo, una condanna a un anno e cinque mesi con la condizionale per tentata estorsione: tornano dunque libere. La terza, invece, assistita sempre dall’avvocato Poli, resta ai domiciliari. È stata rinviata a giudizio poiché, per precedenti della medesima natura, le era sostanzialmente preclusa la strada del patteggiamento. Sono le tre prostitute romene che erano state arrestate a metà marzo dai poliziotti della Squadra mobile e dai carabinieri del Nucleo investigativo per concorso in tentato sfruttamento della prostituzione mediante violenza e minaccia dopo che in Corso Cavour una notte, e secondo le indagini non era stata la prima, se l’erano presa con C.E.S. tra pugni e tirate di capelli. Due notti prima la vittima aveva riferito che le tre - non era certa solo di Timofte - l’avevano colpita con un pugno allo stomaco, le avevano spento una sigaretta sulla guancia e mollato schiaffoni. Motivo: si era rifiutata di dare loro cento euro al giorno per “esercitare” in zona. “La strada è nostra, se vuoi lavorarci devi pagare”.
In mezzo agli incontri tra le tre e lei, s’era consumata come detto l’aggressione imputata a Codrin Lungu. Nella stessa udienza preliminare il giudice Morvay ha rinviato a giudizio, oltre che Timofte, proprio Lungu - difeso dagli avvocati Deborah Berton e Luca Maria Ferrucci - per violenza sessuale e rapina. Era la notte tra il 5 e il 6 marzo di quest’anno. Lungu - secondo le ricostruzioni degli inquirenti in base alla denuncia della vittima - si era finto un cliente in cerca di una prostituta. Si era fermato ai bordi della strada in cui c’era C.E.S., aveva contrattato il prezzo e poi l’aveva invitata a montare in auto. Ma non si era fermato in qualche vicolo buio. Aveva tirato dritto fino a Valmaura. “Sali a casa mia”. Una volta dentro entrambi, l’uomo aveva chiuso la porta per evitare che lei potesse scappare, l’aveva schiaffeggiata e le aveva puntato un coltello alla gola. Poi, dopo averla bloccata di forza, l’aveva costretta a un rapporto sessuale senza protezioni. Prima di lasciarla andare le aveva ripulito il portafogli, dove la giovane teneva 150 euro, le aveva rubato il cellulare e pure alcuni documenti della figlia che lei teneva con sé. C.E.S. si era presentata alcune ore più tardi al Burlo, dove le avevano riscontrato lesioni guaribili in sei giorni. Dal Burlo alla caserma dei carabinieri di via Hermet, dove aveva sporto denuncia. I militari dell’Arma non avevano nemmeno dovuto andare da Lungu, perché era stato proprio lui a farsi vivo con loro, avendo saputo da alcuni connazionali che lo stavano cercando. A casa gli avevano trovato un coltello che corrispondeva alla descrizione della ragazza. “È stata da me, ma non l’ho violentata”, si era difeso, senza però poter evitare il carcere.
@PierRaub
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