Proibito il viso coperto con velo islamico. Fermo identificativo per chi trasgredisce

MONFALCONE Nuovo round sul velo islamico, dal regolamento adesso si passa ai fatti. Ieri all’ora di pranzo all’Anagrafe di via Duca d’Aosta è spuntato il primo dei 66 cartelli che saranno progressivamente apposti su tutti gli edifici e le aree comunali, tappezzando la città. Così recita: «Per ragioni di sicurezza è vietato l’ingresso con volto coperto». Al centro dei tre divieti disegnati il niqab. A sinistra il casco da moto, a destra il passamontagna. Il monito si legge in triplice lingua (inglese, francese e bengalese). Sotto, a carattere ridimensionato, l’appiglio normativo: articolo 5, legge 22 maggio 1975, numero 152. La cosiddetta Legge Reale, dal nome del suo principale redattore, l’allora ministro di Grazia e Giustizia che inasprì alcuni provvedimenti penali per combattere il terrorismo negli anni di piombo.

In concreto cosa cambia? «Il cartello fa sì – replica il vicecomandante della Polizia municipale Manuela Solidoro – che già all’ingresso dell’edificio la persona sia obbligata a scoprire il volto se celato». Allo sportello poi, nel caso in cui il burqa non sia stato ancora abbassato, il funzionario «chiede la rimozione del velo» e «se la persona non accondiscende allora viene chiamata in ausilio una forza di Polizia». Locale o statale, pure l’Arma: chi in quel momento può materialmente intervenire. «Nel caso in cui il rifiuto si reiteri – sempre Solidoro – allora scatta il fermo identificativo, con trasferimento al comando per 12 ore, estendibile a un massimo di 24 se sussiste necessità di interprete». Già ora, come da articolo 20 del Regolamento di Polizia urbana sulla sicurezza degli edifici comunali, sezione IV, è prevista una sanzione amministrativa di 100 euro per i trasgressori.
I cartelli compariranno in una settantina di luoghi in capo all’ente, tra cui nidi e asili, scuole elementari e medie, ogni sede di uffici o servizi comunali, municipio ed ex Pretura, cimitero e onoranze funebri, l’ambulatorio di via Pisani, le farmacie di via Manlio e Terenziana, Centro anziani e residenze protette, il Cisi, il Centro sociale di via Natisone, il park multipiano e il Konvert, i magazzini tecnici, l’Area verde, palestre, campi di calcio e tennis, Palaroller e Palasport, senza scordare hockey e Bocciodromo. Divieti pure al Muca, al Museo della Rocca, al Palaveneto, a teatro, in biblioteca, Galleria e Antiche mura, Informagiovani e Università della Terza età. Insomma, ovunque.
«La madre di tutte le soluzioni sarebbe una legge nazionale che disciplini la materia – auspica il sindaco Anna Cisint – e di ciò discuterò col sottosegretario Nicola Molteni quando a gennaio verrà qui». «Non si tratta, come argomentato anche da una sentenza di un giudice lombardo, d’un provvedimento discriminatorio poiché pure i cattolici, se col viso travisato, sono obbligati a rispettarlo – conclude –: l’obiettivo della sicurezza nei luoghi pubblici prevale su tutto il resto. Ho ricevuto, in particolare su scuole, Servizi sociali e Anagrafe, segnalazioni da residenti e operatori che vedono nel velo un fattore di insicurezza». –
Riproduzione riservata © Il Piccolo