Profughi, il Cara ampliato a 250 posti

Quella di ieri è stata una giornata frenetica sul versante-immigrazione, fatta di contatti, telefonate, una riunione in Prefettura organizzata in quattro e quattr’otto. In prima linea il direttore della Caritas diocesana don Paolo Zuttion e l’assessore provinciale al Welfare Ilaria Cecot: quest’ultima ha contattato anche il sindaco Ettore Romoli per individuare assieme una soluzione. Obiettivo? Trovare un tetto ai 40 richiedenti-asilo che la Parrocchia di Madonnina non può più continuare ad ospitare. Alle 16, al palazzo del Governo, è cominciata una riunione-fiume che ha visto la partecipazione del prefetto Vittorio Zappalorto, di don Zuttion e della Cecot. Ed è stato un incontro concreto e operativo: niente protocolli e dichiarazioni d’intenti (tanto odiate da Romoli) ma la ricerca di soluzioni attuabili, concretizzabili. E così è emersa la possibilità di trasferirne alcuni a Ronchi dei Legionari, altri in un non meglio precisata località della provincia di Udine. Poi, la svolta. Confermata dalla Regione attraverso una nota delle 19.09. Verrà ampliato il Cara di Gradisca d’Isonzo. «Il ricorso all’allargamento della capacità del Centro di accoglienza per richiedenti-asilo (Cara) di Gradisca è dettato dall’urgenza della situazione e sarà estremamente temporaneo». Lo afferma l’assessore regionale con delega all’immigrazione Gianni Torrenti, commentando la soluzione proposta dal prefetto di Gorizia Vittorio Zappalorto, per far fronte all’emergenza rappresentata dai circa quaranta immigrati richiedenti asilo rimasti senza tetto dopo che è venuta meno la possibilità di ricovero da parte della parrocchia della Madonnina, in cui erano ospitati fino alla notte fra venerdì e sabato. «Si è presentata l’esigenza di trovare una soluzione - spiega Torrenti - assolutamente transitoria fino a che non siano definite le modalità dell’accoglienza diffusa nei Comuni o la distribuzione dei richiedenti-asilo in strutture alberghiere. Si tratta di alcune decine di posti-letto in più che si aggiungono all’attuale capacità di accoglienza del Cara, e che ipotizziamo potranno essere utilizzati anche solo per pochi giorni». Più nello specifico entra il prefetto Vittorio Zappalorto: «Il Cara sarà allargato da 200 a 250 posti ma solo temporaneamente. Non c’erano alternative». In pratica, verranno utilizzati alcuni spazi del vicino Cie.
Intanto, i volontari - che dovevano riunirsi ieri sera davanti alla Prefettura - hanno voluto lanciare un segnale forte e chiaro: «La veglia riunisce volontari, cittadini, operatori della Caritas, esponenti dell’associazionismo e della politica per comunicare al prefetto quanto finora tutte le iniziative, parole e scritti non sono evidentemente riusciti a fare. I profughi, esseri umani ancor prima che richiedenti-asilo sottoposti a specifiche tutele e percorsi di riconoscimento, sono titolari esattamente come noi di diritti fondamentali che non possono essere elusi o violati. Questo principio fa parte della nostra Costituzione repubblicana. La duplice richiesta al prefetto è di attuare quanto previsto dalla legge: affrontare il problema della prima accoglienza una volta per tutte e dare sistemazione alla quarantina di persone che sono prive di qualsiasi tutela umanitaria».
«Cessata la disponibilità delle sedi provvisorie, da ieri sera una quarantina di profughi sono in cerca di un ricovero notturno, di un rifugio dal freddo e dalla pioggia, di un bagno e di una doccia (poi è arrivata la soluzione-Cara, ndr). Le persone con le candele in mano, ieri notte, hanno rappresentato l’istanza legittima dei richiedenti-asilo. Inoltre hanno ribadito la necessità di rivedere i meccanismi di accoglienza attualmente previsti, realizzando stabilmente un riferimento e un coordinamento per i profughi in attesa di entrare nel percorso di riconoscimento della richiesta di asilo. Senza questo tipo di organizzazione, tempo un mese e ci ritroveremo di nuovo nella stessa identica condizione».
Ieri mattina c’era stato l’addìo ai volontari e alla struttura della Madonnina: un addìo, per certi versi anche commovente, determinato dal fatto che la parrocchia ha la necessità di “riappropriarsi” dei suoi spazi per condurre le attività quotidiane. «Il compito più duro - parole dell’assessore Cecot - è stato spiegare loro che non potevano più restare lì. Non si può continuare a pensare che la gestione dell’immigrazione sia tutta scaricata sulle spalle dei volontari».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo