Profughi: accordo fragile, il flusso non si ferma

ZAGABRIA. Un negoziato fiume proseguito nella notte e un accordo trovato in extremis. Un accordo che nei Paesi attraversati dalla rotta balcanica pare già valere poco, anche se a Bruxelles vogliono mostrarsi ottimisti.
Questo, in sintesi, il riassunto del confronto tra i rappresentanti della Commissione europea e quelli di dieci paesi diversi indetto domenica da Jean-Claude Juncker per trovare una risposta comune alla crisi. Il piano d’azione, che il presidente della Commissione è riuscito a strappare ai recalcitranti leader («per garantire che le persone non debbano cavarsela nella pioggia e nel freddo», ha twittato), prevede 17 punti mirati a controllare il flusso migratorio lungo la via balcanica.
Come dichiarato dall’esecutivo Ue, è una lista di «misure operative» da applicare «concretamente» nei prossimi mesi, con i primi passi nell’immediato. Perché la gestione dei profughi «non è stata finora così ordinata come sarebbe potuta essere», ha detto cauta la cancelliera tedesca Angela Merkel parlando di situazione «tutt’altro che perfetta».
Ma alla periferia dell’Unione c’è già chi mette le mani avanti. «Il summit ha prodotto idee, non impegni concreti», ha dichiarato ad esempio il primo ministro serbo Aleksandar Vucic ad incontro ultimato, dando il via a una serie di commenti che la dicono lunga sulla solidità del progetto di Juncker.
Ma partiamo dall’accordo. L’intento dell’Ue è rallentare il flusso che sta portando in Slovenia (e a seguire in Austria e in Germania) circa 10mila persone al giorno. «Oltre 76mila negli ultimi dieci giorni», fanno sapere le autorità di Lubiana. Troppi, insomma, perché si possano rispettare le procedure di identificazione e registrazione previste da Schengen.
Bisogna quindi che qualche Stato, lungo la rotta balcanica, si offra volontario per accogliere temporaneamente i rifugiati. È in sostanza l’idea degli hot spot già proposti a più riprese dagli Stati dell’Europa settentrionale. Il problema è che nessuno, a sud, vuole trasformarsi a proprie spese in una sala d’attesa.
A Bruxelles ci si è accordati comunque per far pazientare 100mila persone nei Balcani. La Grecia ne prenderà 50mila, aumentando le proprie capacità ricettive oggi fissate a 20mila posti, in cambio di poco meno di 6 milioni di euro di finanziamenti europei. I restanti 50mila saranno da dividersi tra gli altri Paesi della regione: probabilmente Macedonia, Serbia e Croazia, gli Stati più coinvolti dalla crisi migratoria.
Tra i 17 punti sottoscritti manca però una clausola che indichi chi si farà carico di questo numero e in che modo. «La Macedonia può prenderne duemila», fa sapere da Skopje il capo di Stato Gjorge Ivanov, secondo cui il proprio Paese rimane «una zona di transito che i rifugiati possono attraversare ma dove non possono rimanere».
Più a Nord, anche Belgrado precisa: «La Serbia non accetterà 50mila migranti», dice il ministro agli Affari sociali Aleksandar Vulin, che afferma di aver già previsto la costruzione di nuovi centri di transito (l’ultimo ad Adaševci, vicino al confine croato), aggiungendo che il fardello va equamente distribuito.
«Siamo un passo avanti rispetto a tutti e abbiamo iniziato a organizzarci anche prima del vertice di Bruxelles - ha dichiarato il ministro, riporta la radio serba B92 - Ma la Serbia si aspetta un aiuto dalle organizzazioni internazionali, non intendiamo fare prestiti o utilizzare il budget dello Stato». La Croazia è altrettanto chiara. «I bus e i treni in direzione Slovenia continueranno finché la situazione non sarà risolta alla frontiera esterna della Grecia», dice il premier croato Zoran Milanovic.
Insomma, se il vertice era stato convocato per alleggerire il traffico in arrivo alla frontiera slovena, bisognerà aspettare un po’ prima che il piano sia efficace. In Croazia, dove sono arrivate oltre 260mila persone dal 16 settembre, verranno inviate unità di Frontex (così come alla frontiera greco-macedone), il cui compito sarà quello di garantire dei controlli più precisi e, a detta dello stesso Milanovic anche di «rallentare il flusso in arrivo».
La vicina Slovenia potrà invece contare su 400 poliziotti supplementari che saranno messi a disposizione, entro una settimana, dall’Ue. Ma Lubiana intanto, sottoposta in questi giorni a una pressione fortissima - 4mila arrivi nella sola scorsa notte - utilizzerà aziende di sicurezza private per aiutare le forze dell’ordine nella gestione dell’afflusso dei migranti nel Paese: lo ha annunciato il sottosegretario all’Interno, Bostjan Sefic, spiegando che dai 50 ai 60 vigilanti supporteranno la polizia laddove sarà necessario.
La Slovenia ha anche richiesto alla Commissione europea un sostegno di 10 milioni di euro e ha ottenuto la precisazione, nel testo dell’accordo, che «i movimenti di rifugiati e migranti tra un Paese e l’altro della regione» saranno «scoraggiati» se gli Stati confinanti non ne sono debitamente informati. Una formula ben poco coercitiva per invitare Zagabria a comunicare di più con Lubiana.
Che cosa resterà di questo testo nei prossimi giorni? Poco. I firmatari - ed è uno dei punti che fa essere ottimista Bruxelles, dove si parla di primi risultati raggiunti - si sono impegnati a nominare entro 24 ore un referente nazionale per comunicarsi a vicenda gli spostamenti previsti.
Perché uno dei problemi emersi è che non si hanno cifre precise di quanto migranti siano in marcia dalla Grecia nei singoli Paesi sulla strada verso la Germania. Mentre a livello europeo si punta su un compromesso (ancora da trovare) con la Turchia. Intanto, lungo la rotta dei Balcani il viaggio della speranza di migliaia di persone continua.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo