Prof e amministrativi, da scuola via in 600: allarme dei sindacati

TRIESTE La scuola triestina perde 196 persone tra pensionamenti, compresa la “quota 100”, dimissioni e qualche decesso. Un quadro preoccupante in vista del prossimo anno scolastico, che vedrà venir meno rispetto all’anno scorso circa 600 dipendenti in regione. Dopo aver reso noti i dati di Gorizia, la Uil aggiunge quelli di Trieste. Tutte le scuole cittadine sono toccate. Al Volta sono annunciate 14 uscite, al Galilei, al Deledda-Fabiani e al Roli 10, all’Oberdan e al Da Vinci-Carli-Sandrinelli 9, al Carducci-Dante e al Valmaura 8, al Bergamas, al Nautico-Galvani e al Dante 7, al Petrarca, all’Altipiano, al Commerciale, al Pangerc, all’Opicina, al Weiss e allo Svevo 6.
«Quello che sembrava un rischio diventa realtà – afferma Ugo Previti, segretario regionale di categoria della Uil – gli istituti vedranno venir meno qualsiasi strategia di continuità didattica. Gli insegnamenti più carenti? Matematica e materie tecniche». Per questo, insiste la Uil anche con Michele Angeloro, segretario di Trieste, «serve un percorso riservato per l’immissione in ruolo del precari». Tra anticipi e raggiunti limiti d’età, nel quadro complessivo di chi è pronto alla pensione in provincia di Trieste tra docenti e amministrativi si contano intanto 54 ricorsi a “quota 100”, un dato pari a quasi il 30% del totale, alto, ma non come quello di Gorizia, dove si arriva poco sotto il 50% tra i 108 pensionandi. A spiegare il fenomeno nel dettaglio è un’indagine nazionale della Cisl che si concentra sulle motivazioni che spingono a lasciare il servizio e cita «retribuzioni modeste e lavoro scarsamente considerato a livello sociale».
Il questionario, proposto durante i servizi di consulenza previdenziale nella fase di riapertura dei termini per le domande di pensione, conteneva quattro domande del tipo a risposta chiusa per consentirne un’immediata tabulazione. La prima era rivolta a cogliere appunto le motivazioni della scelta compiuta, e più della metà degli intervistati ha denunciato o un’esplicita condizione di stanchezza (22,6%) o comunque la convinzione di avere già lavorato abbastanza (29,5%). Tra quanti si dicono stanchi dell’attività svolta, emerge in primo luogo chi insegna nella scuola primaria (28,9%), seguito dal 23,1% della scuola dell’infanzia. Con percentuali decrescenti i docenti del secondo grado, del primo e il personale Ata. Il timore di doversi misurare in seguito con criteri di accesso alla pensione più restrittivi ha inciso inoltre per il 16,4%, quasi un punto percentuale in meno rispetto al 17,3% che dichiara di aver approfittato delle nuove opportunità di uscita perché spinto da esigenze di carattere familiare.
A settembre ci sarà inoltre un altro “buco” da coprire, come hanno evidenziato nelle scorse settimane anche Adriano Zonta della Cgil e Donato Lamorte della Cisl, quello provocato dal licenziamento di 4-500 unità tra maestre e maestri in possesso di diploma magistrale antecedente al 2001/2002, fuori causa dopo la sentenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto abilitante quel titolo solamente per la partecipazione a un concorso. Un paletto che pone fine al lavoro pure per chi è entrato in ruolo da anni nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie.
Lo scorso 12 marzo il sindacato unito ha chiesto al governo politiche di assunzione volte a colmare con nuovi insegnanti e funzionari Ata le carenze d’organico.
Alle 17 mila domande di pensionamento presentate vanno infatti aggiunti i 21 mila posti che a livello nazionale si libereranno a settembre 2019 a seguito del turnover ordinario e i 109 mila posti liberi al momento coperti da supplenti privi di contratto stabile. —
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