Primo bilancio sociale della de Banfield
Negli ultimi 5 anni hanno assistito 5389 persone, con un aumento del 33%, e dato 76.420 consulenze e assistenze domiciliari in regime di volontariato, il che tradotto in termini economici significa lavoro di aiuto agli anziani, ai malati e alle famiglie corrispondente a 286.502 euro tra assistenza, ausili gratuiti, emporio della solidarietà, e 663 mila euro tra consulenze sociali (17 mila ore), assistenza di base (20 mila ore), fisioterapia (3931 ore). L’associazione Goffredo de Banfield, fondata nel 1988 dai fratelli Raffaello e Maria Luisa in memoria del padre Goffredo, pubblica per la prima volta il suo bilancio sociale, fotografia di un costante lavoro assistenziale sbocciato a Trieste quando era sconosciuta l’assistenza domiciliare. Il documento sarà presentato domani, come detto qui a parte.
Dopo i primi 20 anni era stato pubblicato un bel libro, adesso gli ultimi 5 vengono raccontati con un “report” che mostra soprattutto come la struttura della de Banfield sia rimasta veramente ossuta nel passar del tempo (solo 9 i dipendenti, a fronte di 72 volontari e 500 soci) mentre in 25 anni sono state seguite più di 7000 persone, col 58% di nuovi accessi ogni anno e un aumento consistente di richieste di aiuto per casi complessi (in calo del 30% quelli “semplici”), un’umanità sofferente che per il 66% è donna, per il 72% over 75, per l’81% non autosufficiente e col 19% di casi di Alzheimer.
Nella costanza di questo lavoro non di mera assistenza, la de Banfield ha instaurato rapporti proficui con l’Università, con l’Azienda sanitaria e con il Comune, ha continuato a produrre pubblicazioni, iniziative culturali, regate e tornei per riqualificare l’immagine della persona anziana, che poi assiste gratuitamente (soci e non soci). Il sito web nel periodo ha totalizzato quasi 33 mila visite, 47 mila le pagine consultate.
Ma come si mantiene tutto questo? Prima sorpresa, la sede di via Filzi è frutto di un lascito da parte di Maria Loreta Bernardi, nel 2009 (valore della casa: 190 mila euro). Il bilancio economico dei 5 anni rivela che per attività tipiche dell’associazione (da statuto) gli introiti sono stati di 1.978.460 euro, e in totale di oltre 2 milioni, gli oneri sostenuti per la raccolta fondi pari solo al 2%. Consiglio di amministrazione e revisori dei conti non ricevono compensi. Il 43% dei proventi deriva da privati, il 40% da fondazioni, il 7% dal 5x1000, il 5% dalle quote associative e altrettanto dagli enti pubblici. Per progetti specifici la de Banfield si finanzia all’esterno. Ha ricevuto in questo quinquennio 100 mila euro dalla Fondazione Finney per l’assistenza domiciliare, quasi 86 mila euro dalla Beneficentia Stiftung per “Muoversi a casa”, 51 mila euro dall’Azienda sanitaria per la partecipazione, con numerosi altri, all’attività della Microarea di Barriera, zona principale di azione in città, 30 mila dalla Fondazione CrTrieste per il progetto Alzheimer e quasi 13 mila dalla Regione per “Nonno on line”, alfabetizzazione informatica degli “over”.
Il costo del personale è stato in 5 anni di poco superiore a 1,2 milioni ma come si è visto il valore prodotto in ore-lavoro non retribuite (calcolando il costo orario dei servizi secondo parametri ufficiali) compensa la cifra. All’inizio i due fratelli de Banfield conferirono l’equivalente di 258.228 mila euro come base di partenza e lo stato patrimoniale oggi è florido, contando su riserve pari a oltre mezzo milione di euro più il valore della sede e 151 mila euro accantonati prudentemente per gestioni future.
Con belle parole Maria Luisa de Banfield introduce (assieme alla presidente Anna Illy) questo diario di attività: «È dolce invecchiare con l’animo onesto, come in compagnia di un amico dabbene». Raccontando con affabile ironia che «di bilancio non capisco niente», l’anziana signora ricorda i tempi difficili degli inizi, e lancia un consiglio a tutti: «Come scrisse Lao Tze “piuttosto che maledire il buio è meglio accendere una candela” e piano piano la candela divenne una torcia e ora abbiamo una fiaccola che illumina tutta la città grazie al nostro “know how” acquisito e coltivato in questi anni di duro lavoro e soprattutto con quell’indispensabile protagonista che è il vivere civile fino all’ultimo respiro».
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