PRIMARIE PD: VOGLIA DI STABILITÀ

L’ enorme affluenza alle primarie del partito democratico è un fenomeno difficile da spiegare. Le attese, anche quelle più ottimistiche, erano per un livello di partecipazione notevolmente più basso. Invece nel corso della giornata di domenica scorsa molti elettori dell'Ulivo, ma anche di altri partiti, hanno ritenuto che valesse la pena non solo prendere parte al processo di selezione del gruppo dirigente del nuovo partito, ma anche essere parte di un evento unico nella storia dei partiti europei. Disponiamo però di alcuni dati che ci aiutano a illuminare alcuni aspetti di questo fenomeno.


Anzitutto l'età media elevata dei partecipanti. Con una concentrazione nella fascia d'età tra i cinquanta e i sessantacinque anni. La coorte d'età, per intenderci, che costituisce la roccaforte elettorale del centrosinistra. Pochi invece i giovani sotto i trent’anni. E questo non è un segnale incoraggiante, perché conferma che il nuovo partito non è ancora in grado di attrarre l'interesse di fasce di elettorato giovanile che pure forse lo voteranno. Quanto alle motivazioni, i pochi dati disponibili indicano che molti dei partecipanti alle primarie condividono la diffidenza verso la politica di moltissimi italiani. Per molti le primarie sono state intese come l'ultima opportunità per una riforma della politica italiana. La delusione verso i politici non ha quindi impedito la partecipazione.


Ma probabilmente continua ad alimentare il dubbio che la classe politica, anche quella che si vota abitualmente, sia in grado o voglia veramente dare stabilità al quadro politico. Dunque la sfiducia verso i partiti può benissimo combinarsi anche con la decisione di prendere parte alla fondazione di un nuovo partito. Ma permane una diffusa diffidenza, una sorta di sospensione di giudizio. Anche questo non è un segnale incoraggiante. Si chiede a Veltroni un cambio di marcia, ma la richiesta non si traduce in una apertura totale di credito. Secondo un recente sondaggio Ipsos, oltre il 50% di coloro che hanno partecipato alla primarie preferirebbe che Veltroni si limiti a fare il segretario del nuovo partito e non pretenda di candidarsi alla guida al governo.


Da questo punto di vista, se il governo Prodi dovesse cadere, anche l'immagine di Veltroni ne uscirebbe scalfita. Il che costringe Veltroni a un gioco di squadra con il premier più di quanto egli stesso forse auspichi, dati i livelli di popolarità particolarmente bassi di cui gode il governo. Per gli elettori di centrosinistra la crisi di governo sarebbe un evento incomprensibile del quale tutti apparirebbero responsabili in eguale misura. Andrebbe poi valutato con attenzione il fatto che alle primarie abbia partecipato un certo numero di elettori che non hanno votato alle recenti elezioni per l'Ulivo.


Ciò indica che il Partito democratico viene valutato positivamente anche da elettori che non votavano per i Ds e la Margherita. Forse perché il Partito democratico viene interpretato da costoro come una risposta positiva alla frammentazione partitica. Non è una novità. Gli elettori hanno sempre premiato i tentativi di semplificazione del sistema dei partiti. Se le leggi elettorali glielo consentivano, in massa hanno addirittura evitato di esprimere una preferenza di partito, come accade di frequente nelle elezioni regionali e amministrative con il voto al solo presidente di regione o al sindaco. Esiste da diversi anni una fascia ampia di elettorato, forse addirittura la maggioranza, che preferirebbe un sistema bipartitico. Ma sinora questa aspettativa è rimasta delusa.


Anzi di fronte alle evidenti difficoltà del sistema politico italiano, negli ultimi mesi molti politici guardano con favore alla legge elettorale tedesca, anche tra i leader che hanno sostenuto Veltroni. Un sistema ottimo in Germania, ma che da noi sancirebbe la fine di una democrazia governante. In definitiva alcune delle ragioni dell'alta affluenza alle primarie stanno forse nei caratteri stessi della politica di questi anni. È vero che il bipolarismo che abbiamo conosciuto non funziona alla prova di governo. Ma fasce non residuali di elettori di centrosinistra rimangono comunque favorevoli a un assetto del sistema politico in cui i ruoli di maggioranza e di opposizione riflettano la volontà degli elettori e non le strategie parlamentari dei loro leader.


Costoro evidentemente vedono nel Partito democratico il partito che meglio di altri potrebbe soddisfare una domanda di stabilità governativa e di semplificazione del sistema politico. Di fronte a ciò possiamo anche pensare che questi elettori sottovalutino la realtà delle divisioni che oppongono, sia a destra come a sinistra, moderati a massimalisti. Ma il comportamento di molti di loro sembra suggerire che tali divisioni non sono il prodotto di fratture strutturali come quelle che hanno attraversato la società italiana nel secolo scorso, ma il risultato delle strategie di sopravvivenza di un ceto politico spesso autoreferenziale. Rimane da vedere se il Partito democratico riuscirà a superare la contraddizione tra le aspettative e i comportamenti di larga parte dell'elettorato di centrosinistra e le abitudini di buona parte della sua classe politica di trasformare differenze, piccole e grandi, in occasioni per marcare la propria identità.

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