Prete ucciso in Seminario a Trieste: indagato il suo “collega”

Svolta nelle indagini sul decesso di monsignor Rocco nel 2014 in via Besenghi. Chiesto il processo per l’ex vicino di camera don Piccoli ora in servizio in Liguria
Monsignor Giuseppe Rocco
Monsignor Giuseppe Rocco

TRIESTE Da “supertestimone” della prima ora ad assassino presunto. Monsignor Paolo Piccoli, uomo di Chiesa di 51 anni nativo di Verona e fino a un paio d’anni fa in servizio a Trieste, risulta sotto inchiesta come possibile responsabile del giallo del Seminario che sconvolse Trieste due anni fa, quando il novantaduenne monsignor Giuseppe Rocco, originario di Barbana d’Istria, fu trovato cadavere nella sua stanza al secondo piano della Casa del Clero di via Besenghi.

 

Omicidio a Trieste, prete strangolato
La Casa del Clero di via Besenghi, dov'è avvenuto il delitto

 

Ucciso, come riscontrò in seguito il medico legale Fulvio Costantinides, dalla rottura di un piccolo osso in corrispondenza della carotide chiamato “ioide”, che ne causò la morte. Soffocamento naturale o strangolamento? Le indagini (avviate nella circostanza dal Nucleo investigativo dei carabinieri comandato allora dal capitano Fabio Pasquariello e affidate dopo il trasferimento da Trieste di quest’ultimo dal pm Nicola Tripani, il magistrato titolare del fascicolo, alla Squadra mobile della polizia guidata dal neocapo Marco Calì) propendono per la seconda ipotesi. Tanto che don Piccoli, difeso dagli avvocati di fiducia Claudio Santarosa e Stefano Cesco del Foro di Pordenone, dovrà comparire il prossimo martedì 13 dicembre ai piedi del pulpito del gup Giorgio Nicoli, il giudice per l’udienza preliminare chiamato a decidere a proposito della richiesta di rinvio a giudizio a suo carico davanti alla Corte d’Assise, per l’ipotesi di reato di omicidio aggravato (aggravato dal fatto di aver approfittato dello stato di debolezza della vittima, vecchia e cardiopatica) formulata dallo stesso pm Tripani.

 

«Quella notte non c’ero solo io». Parla don Paolo Piccoli, il prete che vive nella Casa del clero
La Casa del clero di via Besenghi (Foto Lasorte)

 

Siamo dunque a un punto di svolta nella lunga inchiesta sul cosiddetto delitto del Seminario del 2014. E la pista investigativa, appunto, prefigura che a uccidere l’anziano prelato possa essere stato niente meno che un “collega” del potere spirituale, e segnatamente il suo vicino di stanza, uno dei pochi presenti quella notte nella Casa del Clero di via Besenghi. Un prete più attempato ammazzato - forse - da un prete più giovane. Dal suo vicino di stanza, insomma. La prova indiziaria “regina”, ancorché non l’unica, a quanto si è appreso, è costituita dal fatto che una serie di piccole macchie di sangue - trovate sotto il corpo di don Rocco riverso senza vita sul suo letto - appartengono senza ombra di dubbio al profilo genetico di don Piccoli, come hanno attestato le analisi scientifiche dei Ris di Parma, che una volta accertato che quel sangue non era della vittima hanno isolato un non ristretto elenco di Dna, soprattutto attraverso cosiddetti “tamponi” volontari, ovvero campioni di saliva resi dalle persone convocate dagli inquirenti. Il presunto assassino, in occasione di una delle deposizioni che l’hanno coinvolto, si sarebbe difeso sostenendo di essere affetto da una malattia dermatologica che gli provoca talvolta delle piccole emorragie, anche alle mani, e che il sangue si sarebbe potuto propagare nei paraggi del corpo senza vita di don Rocco perché fu proprio lui, l’accusato, a impartirne la benedizione nel momento in cui venne trovato morto. Una spiegazione che non viene ritenuta pienamente credibile in sede investigativa anche perché quelle macchioline sono state rinvenute appunto al di sotto del cadavere, in determinati punti di difficile accessibilità in occasione di un’estrema unzione, e non soltanto al di sopra o ai suoi lati.

 

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La Casa del clero di Trieste

 

La prova del Dna è considerata dagli inquirenti la più importante, ma non l’unica. Al di là del fatto che le ricostruzioni investigative avrebbero fatto venire a galla comportamenti da parte di don Piccoli totalmente differenti rispetto alle sue abitudini in prossimità del delitto del 25 aprile 2014, l’inchiesta non trascura infatti che, nei giorni immediatamente prececenti alla morte di don Rocco, dalla stanza di quest’ultimo sarebbero spariti alcuni oggetti sacri o per lo meno di valore simbolico riconducibili alla nostra religione: una Madonna, un veliero e un cavallo. Simulacri di cui don Rocco avrebbe denunciato in ambito ecclesiale la scomparsa, inserendo proprio don Piccoli - che ha peraltro nel suo curriculum precedenti d’inchiesta a proprio carico a L’Aquila per furto di oggetti sacri ed ha la nomea del cleptomane - tra quelli che se ne sarebbero potuti impossessarsi, tanto che a ridosso del 25 aprile lo stesso presunto killer avrebbe ricevuto dalla direzione del Seminario una lettera di richiamo. Le tre statuette - Madonna, veliero e cavallo - sarebbero guarda caso ricomparse a stretto giro dopo l’omicidio nella stanza di don Rocco. Una coincidenza che gli investigatori non hanno, evidentemente, trascurato.

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