Prete pedofilo suicida, il Vaticano archivia il caso
«Instantia perimitur». Ovvero - detto in parole povere - procedimento penale chiuso per la morte della persona sottoposta ad indagine giudiziaria. E' questa - sostanzialmente - la formula con cui presso la Congregazione per la Dottrina della Fede (l'ex Sant'Uffizio), in Vaticano, dovrebbe essere stata archiviata definitivamente la drammatica vicenda di don Maks Suard, parroco 48enne di Santa Croce, della Diocesi di Trieste, trovato impiccato dal suo vescovo, monsignor Giampaolo Crepaldi, per essere stato accusato di aver abusato sessualmente 17 anni fa di una ragazzina di 13 anni.
Crepaldi, superiore diretto di don Maks, sulla base delle nuove norme varate per contrastare e reprimere la pedofilia nel clero da Benedetto XVI e rese ancora più incisive da papa Francesco, aveva subito informato il sacerdote che lo avrebbe sollevato dall'incarico e comunicato la vicenda alle autorità giudiziarie della Santa Sede. Il suicidio dell'ecclesiastico - che in una lettera ha ammesso la colpa e chiesto perdono - ha messo praticamente fine al caso. Nel senso che, da parte degli organi vaticani e diocesani, la tragica vicenda di don Maks non avrà un seguito giudiziaria. Questo almeno a rigore di Diritto canonico. La giustizia penale sulla carta potrebbe, invece, continuare a fare il suo corso se, ad esempio, l'allora bambina 13enne oggi donna di 30 anni, dovesse avanzare richieste di eventuali risarcimenti per la violenza subita. Ma questo si vedrà in seguito. Dal punto di vista ecclesiale il suicidio del sacerdote ha fermato l'azione giudiziaria canonica che monsignor Crepaldi stava per avviare.
«Su questa vicenda non mi risulta che ci possano essere ulteriori procedimenti e, tantomeno, non sono stato informato su eventuali altre canoniche avviate da parte vaticana», risponde il portavoce papale, padre Federico Lombardi, in merito a chiarimenti su cosa ora le autorità vaticane intendono fare o potranno fare dopo il suicidio del sacerdote triestino.
«Non penso che la Congregazione per la Dottrina della Fede, l'organo giudiziario a cui compete intervenire sui grandi peccati commessi dai sacerdoti a partire dalle colpe per pedofilia, intenda continuare ad indagare sul caso don Maks», spiega l'arcivescovo Gianfranco Girotti, reggente emerito della Penitenzeria apostolica, stretto collaboratore di Joseph Ratzinger da cardinale prefetto dell'ex Sant’Uffizio, da pontefice ed ora punto di riferimento di papa Bergoglio in materia di peccati e morale. Monsignor Girotti ricorda che - di fronte a casi in cui la parte indagata cessa di esistere (per morte naturale o per suicidio) - nel nuovo Codice di Diritto Canonico è contemplata lo stop dell'azione giudiziaria sulla base delle norme previste nel canone 1520 denominate "Instantia perimitur", che sanciscono la fine dell'atto processuale perchè «cessata la causa, cessa l'affetto».
Canone che nel vecchio Codice di Diritto Canonico era denominato col titolo "Causa perenta est", cioè causa cessata per la scomparsa dell'indagato. Il presule indica anche un altro canone, il 1518, nel quale - spiega - è scritto, tra l'altro, che in un processo «se un partecipante muore...a causa ancora non conclusa, l'istanza è sospesa fino a che sia riassunta (eventualmente) la lite dell'erede del defunto, del successore o dell'avente interesse».
Vale a dire se qualche familiare della persona morta si costituisce in giudizio per chiedere un risarcimento alla memoria o pecuniario. Per la Santa Sede, quindi, si è conclusa, Codice di Diritto Canonico alla mano, la drammatica vicenda del parroco di Santa Croce schiacciato dal rimorso per il male fatto ad una ragazzina? «Penso proprio di sì», risponde monsignor Girotti, secondo il quale la parola fine prevista, "in questi drammatici casi", dalle norme canoniche non "impediranno mai di dimenticare le sofferenze della ragazzina violentata e le responsabilità del sacerdote che, vinto dal rimorso, si è dato la morte, per il quale non ci resta altro che pregare e invocare la misericordia Divina».
Grande rispetto - puntualizzano in Vaticano - si deve anche per l'azione del vescovo di Trieste: monsignor Crepaldi «non poteva agire diversamente», spiegano all'ex Sant'Uffizio, ha applicato fedelmente le nuove norme canoniche, ma la drammatica decisione di don Maks non gli hanno permesso di far sentire ancora di più la sua vicinanza al sacerdote nella sua veste di pastore e arcivescovo di Trieste, un incarico a cui è stato chiamato da Benedetto XVI dopo una lunga esperienza maturata alla Cei (Conferenza episcopale italiana) come direttore dell'Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro, e come segretario della Pontificia commissione Giustizia e Pace della Santa Sede. Un arcivescovo, dunque, "sensibile ed esperto" - ricordano in Vaticano - che avrà certamente provato tantissimo dolore per quanto accaduto.
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