Premiati “I Nostri Angeli” nel segno della Hack

Dedicata all’astrofisica la serata conclusiva del Premio giornalistico internazionale Marco Luchetta
Foto Bruni 03.07.13 Premio Luchetta 2013-applauso a Margherita Hack
Foto Bruni 03.07.13 Premio Luchetta 2013-applauso a Margherita Hack

i Maria Cristina Vilardo

wTRIESTE

Un lungo applauso con tutta la platea in piedi ha salutato la “signora delle stelle”, Margherita Hack. «A lei la città di Trieste vuole dedicare questa edizione del Premio Luchetta», ha esordito Giovanni Marzini presentando il preludio, denso di ospiti, alla serata “I nostri Angeli”, che ha visto quest’anno il ritorno alla conduzione del giornalista e scrittore Franco Di Mare. L’affiancava la collega Barbara Carfagna. «Mi sento molto a mio agio in questa città - ha detto la giornalista - e soprattutto mi piace l’odore del mare che si sente per le sue strade». Come sempre la manifestazione è proseguita fra lampi di musica e di storie estreme, quelle testimoniate dai giornalisti nelle terre di guerra o comunque là dove vengono calpestati i diritti umani, soprattutto dei bambini.

Prima dell’inizio della serata, al Ceffè Rossetti, Giovanni Floris ha espresso alla stampa il suo riconoscimento per il premio Friuladria “Testimoni della Storia”. «Sono veramente soddisfatto e orgoglioso; una gratitudine assoluta va alla giuria che ha pensato che meritassi questo riconoscimento». Ricordando poi i tempi del suo esordio televisivo, all’epoca dell’11 settembre 2001, Floris ha affermato che questa esperienza ha avuto a che fare più con la storia che con a cronaca: «Sono momenti che ti lasciano senza fiato, momenti che cancellano le difficoltà e che mi hanno formato come persona più che come giornalista». Floris ha anche rievocato la sua presenza al Premio Luchetta come cronista del Gr. «Mi sono reso conto che questi giornalisti sapevano cogliere il senso profondo degli avvenimenti».

La serata “I nostri Angeli” al teatro Rossetti è proseguita con le esibizioni di Cristicchi, che ha cantato “Magazzino 18”, di Elhaida Dani, vincitrice della prima edizione di “The voice Italy”, del vincitore di Sanremo giovani Antonio Maggio e dell’attore Sebastiano Somma.

È stata quindi la volta dei premi. Al giornalista e filmmaker Jean-Sébastien Desbordes è andato il Premio Alessandro Ota per il miglior reportage giornalistico trasmesso da un’emittente europea. Ha raccontato la storia di Sacha, 13 anni, un bambino affetto da una particolare malattia genetica, la sindrome di William Beuren, con una passione particolare per i treni. Il padre gli ha regalato un viaggio lungo la ferrovia trans-siberiana in Russia, Mongolia e Cina. «Sono venuto a conoscenza del caso di Sacha tramite Facebook e tramite Internet, - ha raccontato Desbordes - ed ero molto sorpreso del fatto che ci fosse questa idea di un viaggio per un ragazzo comunque con un handicap. Mi sono detto: «Forse devo andare incontro a Sacha e capire un po’ di più cosa nasconde questa realtà».

Richard Lloyd Parry, corrispondente di “The Times”, ha vinto il Premio Dario D’Angelo per il miglior articolo pubblicato su un quotidiano o un periodico europeo, non italiano. Per cinque anni, usando uno pseudonimo al fine di evitare d’essere arrestato e deportato, ha documentato il massacro in Birmania operato dai buddisti Rakhines nei confronti dei musulmani Rohingya. «Circolavano voci su questo massacro - ha ricordato - da un paio di settimane. Altri giornalisti e alcune organizzazioni per i diritti umani avevano sentito che era successo qualcosa di molto terribile, ma non erano mai riusciti ad avere accesso a quest’area perché era tenuta isolata dalle forze di sicurezza. Grazie all’aiuto della popolazione locale sono riuscito ad entrare per qualche ora e a parlare con la gente, quindi a ricostruire gli avvenimenti. I motivi per cui questo massacro è poco conosciuto sono essenzialmente due. Il primo è che si tratta di una parte del mondo ancora misteriosa anche per gli stessi abitanti della Birmania; in secondo luogo la copertura giornalistica degli avvenimenti che accadono in Birmania si concentra sui cambiamenti politici che stanno avvenendo, da una dittatura oppressiva a un paese che si mette velocemente sulla via della democrazia».

Un tatuaggio ispirato ad “Alice nel paese delle meraviglie” sul polso sinistro, Marco Gualazzini ha ricevuto il Premio Miran Hrovatin per la miglior fotografia pubblicata su un periodico o quotidiano internazionale. Il suo scatto, pubblicato da L’Espresso, testimonia la desolazione nel campo profughi di Kanyaruchinya, in Congo. «Sono esperienze che mi hanno segnato, - ha spiegato - perché sono persone assolutamente indifese, li vedo un po’ come miei fratelli. Il dilemma con cui noi fotografi ci confrontiamo tutti i giorni è se stiamo speculando sulla vita di queste persone o se stiamo facendo il nostro mestiere. È una guerra senza fine, non credo che una fotografia possa cambiare le cose, portiamo comunque testimonianza su quello che succede assumendoci le nostre responsabilità nel bene e nel male».

Il Premio Marco Luchetta-Sezione Tv è stato assegnato a Ian Pannell, giornalista della BBC, autore di un reportage sui siriani, oltre un milione, fuggiti dalla guerra rifugiandosi nei paesi vicini. Con il suo cameraman Darren Conway ha trascorso del tempo con le famiglie di sfollati al nord della Siria, tra cui molti bambini, che hanno trovato rifugio nelle grotte e nei tunnel sotterranei. «In generale ci siamo occupati della Siria - dice - e abbiamo fatto dei reportage per due anni. In realtà per realizzare questo specifico video ci sono volute due settimane, per curare la regia, le immagini, le interviste, poi ci sono i giorni di viaggio per arrivare sul luogo dove abbiamo filmato».

Marzio G. Mian, attuale vicedirettore di “Io Donna”, il femminile del Corriere della Sera, si è guadagnato il Premio Marco Luchetta-Sezione quotidiani e periodici per un’inchiesta sull’infanticidio di bambine in India. «Tutti abbiamo degli amici, delle amiche - riflette - che vanno in India per rimettersi a posto il corpo e l’anima, e c’è questa mitizzazione dell’India come un paese buono, spirituale. Queste persone spesso vanno negli ashram e non sono consapevoli della realtà di un paese che invece ha dei lati profondamente crudeli. La stessa religione indu ha dei risvolti sociali di grande impatto, come questo degli infanticidi delle bambine. Io ho raccontato quello che avviene nelle aree rurali, dove ho incontrato anche le madri che hanno ammazzato le bambine, in genere la seconda figlia, però il vero fenomeno è quello delle donne indiane emancipate, borghesi, che perpetuano lo stesso crimine usando la tecnologia. Ecco dunque i contrasti di un paese come l’India che si affaccia alla modernità, però mantenendo una delle attitudini ancestrali più crudeli. In certi ospedali si possono verificare dati impressionanti, ad esempio 70 bambini nati contro 32 bambine. Questo si spiega solo con l’aborto selettivo».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo