Porzûs, la ferita si rimargina dopo 72 anni
FAEDIS. A Canebola 72 anni dopo, per la prima volta, i partigiani osovani e garibaldini hanno commemorato assieme l’eccidio di Porzûs.In realtà è stata ufficializzata una consuetudine perché l’Anpi - l’ha detto il vice presidente provinciale Adriano Bertolini - ha sempre preso parte alla cerimonia, ma non tra gli invitati. Quest’anno, invece, l’invito è arrivato e l’Anpi l’ha accettato.
«Abbiamo sempre condiviso il giudizio sul crimine - hanno spiegato Bertolini e l’ex presidente regionale Elvio Ruffino -, l’abbiamo sempre condannato. È stata la guerra fredda a trasformare la storia dell’eccidio in scontro politico. È un bene che la politica faccia un passo indietro».
Un passo indietro è stato fatto anche sulla gestione delle malghe, dichiarate monumento nazionale: la Regione l’ha trasferita all’Apo che le trasformerà in un luogo della memoria. Perché qui, ha sottolineato la presidente della Regione Debora Serracchiani, «è stato smarrito cosa significa “difendere la Patria”».
Dopo la riconciliazione tra il cappellano della Osoppo, don Redento Bello, e il commissario politico della divisione Garibaldi, Giovanni Padoan, e dopo la visita del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che nel 2012 definì la strage «incomprensibile», ieri, nella chiesa di Canebola, la condanna unanime di Apo e Anpi è stata letta come un segno di pace da tramandare alle nuove generazioni.
Con questo monito il parroco, don Gianni Arduini, si è rivolto ai politici ricordandogli che «la carità non basta, occorre senso di responsabilità e giustizia». Il parroco si è chiesto anche «quanti giovani sarebbero disposti a dare la vita per un ideale?», l’ha fatto per poi rispondersi con un inno alla vita contro l’aborto.
Più incisivo il presidente dell’Apo, Cesare Marzona, che nel suo discorso affidato al figlio, ha detto chiaramente che «l’eccidio di Porzûs e di Bosco Romagno è un episodio estraneo alla Resistenza. Chi si è reso responsabile della dolorosa uccisione non lottava per gli ideali di democrazia e libertà, ma sottostava ad altre bandiere e a ordini stranieri».
Nell’intreccio delle vallate, teatro nel 1945 delle lotte partigiane, l’influenza del confine sloveno si avverte ancora. Il 7 febbraio 1945, i gappisti uccisero 17 osovani. Tra questi Francesco De Gregori, zio del cantautore, e Guido Pasolini, fratello del poeta di Casarsa.
«Si è trattato di un crimine alto dove fratelli si combattevano tra di loro», ha sottolineato, Furio Honsell, sindaco di Udine medaglia d’oro alla Resistenza, prima di dirsi preoccupato perché «chi non ha vissuto la guerra di Liberazione può, forse, avere una voce troppo debole per ribadire l’importanza della pace e dell’Europa nata da quella Liberazione».
Anche il presidente della Provincia, Pietro Fontanini, ha salutato con un «bravi» i partigiani dell’Anpi. «La storia ha già detto tutto, uno per tutti Napolitano che ha parlato di errore politico fatto da partigiani comunisti. Le malghe di Porzûs sono il segno di un confronto violento che non deve ripetersi».
Su questo concetto si è soffermata pure la governatrice definendo l’eccidio di Porzûs «uno dei più grandi e tragici simboli della complessità delle vicende storiche che si sono consumate sul confine orientale. Porzûs - ha aggiunto - ha scavato un solco durato decenni tra le associazioni partigiane italiane e tra la stessa popolazione del Friuli».
Secondo la presidente, che ha parlato di «giornata storica», «l’invito che l’Anpi ha accettato dall’Apo è la conferma che in nome di una più alta umanità è possibile vincere anche il dolore delle ferite più profonde e trasfigurare gli eventi più bui in giornate memorabili di pacificazione».
«Il Governo ha il dovere istituzionale di partecipare a cerimonie come questa per mandare messaggi positivi a tutto il Paese», ha concluso il sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, ricordando che «l’Italia ha un’anima fatta di valori, solidarietà e giustizia sociale».
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