Portuale morto d'amianto, 650 mila euro di risarcimento ai parenti
TRIESTE Un altro maxirisarcimento per i familiari di una vittima dell’amianto che ricadrà sulle casse dell’Autorità portuale. Si tratta di 615 mila euro più le spese. La sentenza è del Giudice del lavoro del Tribunale di Trieste Silvia Burelli. Si tratta del secondo caso in cui la responsabilità dell’allora Ente porto viene riconosciuta in merito al decesso per amianto non di un dipendente diretto, ma di chi lavorava in una compagnia portuale (omettiamo il nome della vittima per la richiesta di riservatezza espressa dai familiari): precisamente, si tratta di un ex socio-lavoratore della compagnia portuale Terra, cooperativa che metteva a disposizione manodopera in appalto. Era morto a 63 anni per un mesotelioma lasciando la moglie e due figli: la malattia gli era stata diagnosticata poco più di un anno prima del decesso.
Il primo caso di maxirisarcimento accordato dal Tribunale ai familiari per una vittima che aveva lavorato in una coop era stato quello di Guido Gruber, morto a 71 anni, anche lui ex socio-lavoratore della compagnia portuale Terra. Quella prima, storica sentenza risaliva al dicembre del 2017, poi l’Authority aveva fatto appello, ma la condanna era stata confermata: 645 mila euro.
Doveva essere una sentenza apripista e così è stato, come conferma l’avvocato triestino Fulvio Vida che ha difeso i familiari dei due ex soci-lavoratori della coop Terra, e si sta occupando ora di altri cinque procedimenti analoghi, dei quali tre già iniziati e due in fase di consulenza tecnica per l’accertamento del nesso causale tra patologia ed esposizione alla fibra killer: «Da quanto mi risulta, considerando i casi che sto seguendo e quelli affidati ad altri colleghi, i procedimenti che prossimamente potrebbero andare a sentenza sono parecchi, direi una decina abbondante – sottolinea Vida –. In più dobbiamo considerare i tempi molto lunghi di incubazione di questa malattia che può insorgere addirittura a 30 anni dall’esposizione alle fibre di amianto. Credo che inevitabilmente altri casi si manifesteranno, purtroppo, nell’arco dei prossimi anni. Del resto si lavorava in condizioni incredibilmente pericolose: L’amianto veniva trasportato dentro sacchi di carta che spesso si rompevano spargendo nell’aria le fibre nocive».
Lo stesso avvocato precisa di ritenere iniquo che sia l’Autorità portuale a farsi carico interamente dell’esborso e auspica un intervento statale: «Addossare al porto attuale, che non ne ha colpa, questi risarcimenti per delle responsabilità che risalgono a decenni fa non è giusto – sottolinea Vida –. Il legislatore o comunque lo Stato dovrebbero intervenire per integrare quelle cifre con fondi e sussidi. Altrimenti il rischio è che ci siano ripercussioni sull’operatività del porto e quindi un danno all’economia cittadina».
Ne è ben consapevole il presidente dell’Autorità di Sistema portuale Zeno D’Agostino, che ricorda come i risarcimenti per l’amianto incidano attualmente sul bilancio per 2 milioni di euro annui: «Sappiamo bene di trovarci al cospetto di disgrazie immani che hanno colpito queste famiglie – premette il presidente dell’Authority – e che purtroppo ci saranno altri risarcimenti in arrivo nel prossimo futuro. Questa situazione ci preoccupa perché si tratta di somme importanti che incidono pesantemente sul bilancio e rischiano di avere anche ripercussioni sull’attività portuale». «Tutto quello che possiamo fare – sottolinea D’Agostino – è insistere a livello statale, con il ministero, affinché ci dia il via libera per l’accesso al fondo che attualmente è riservato alle imprese e non agli enti pubblici come il nostro. Ribadiamo che non può essere la singola Autorità portuale ad assumersi la responsabilità di risarcimenti così onerosi». —
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