Portocittà: «Concessione del Porto vecchio da annullare»

Il documento depositato al Tar si basa soprattutto sul regime di Punto franco che «non rende bancabile» il piano di riuso

Un sogno finito in tribunale. Portocittà, la società di scopo composta dai costruttori Maltauro e Rizzani de Eccher, da Sistema iniziative locali e da Banca infrastrutture innovazione e sviluppo del Gruppo Intesa - San Paolo ha depositato il ricorso al Tar con cui chiede l’annullamento dell’atto di concessione firmato il 25 novembre 2010 che dopo una gara europea le aveva fatto acquisire il diritto di operare su 44 ettari del Porto Vecchio per settant’anni, cioé fino al 2080. Obiettivo: la rivitalizzazione dello scalo antico con la creazione in sostanza di un nuovo pezzo di città che poteva essere ultimato nel 2020 grazie a un investimento complessivo di un miliardo di euro. Ma da ieri risulta bruciato anche quello che doveva essere il principale volano economico per la ripresa di Trieste del prossimo quarto di secolo. Inoltre, soltanto a causa del ricorso, è presumibile che la città dei morti rimanga tale e quale, cioé un autentico deserto pressoché inutilizzabile a scopi portuali (eccetto l’Adriaterminal), ancora per anni e anni. «Con l’assistenza dell’avvocato Alfredo Biagini del Foro di Venezia - hanno fatto sapere ieri i concessionari - abbiamo depositato al Tar del Friuli Venezia Giulia il ricorso per l’annullamento della concessione che però non è stato ancora notificato all’Autorità portuale». Anche per questo Portocittà, ripromettendosi di farlo nei prossimi giorni, non ha inteso illustrare i motivi specifici del ricorso che segue comunque a mesi di incomprensioni e schermaglie soprattutto con la stessa Authority. È trapelato comunque che il regime giuridico che attualmente è quello di Punto franco e che a detta dei concessionari «non rende bancabile il progetto» è il «motivo principale anche se non l’unico» per il quale l’atto concessorio dovrebbe essere annullato. E ciò sebbene la firma sulla concessione sia avvenuta allorché il Punto franco era pienamente vigente, come a più riprese hanno fatto notare sia la presidente dell’Autorità portuale Marina Monassi che le amministrazioni locali: ma qui evidentemente si concentrerà la maggior parte del lavoro dell’avvocato Biagini.

«Comprendo Portocittà perfettamente - ha commentato ieri Pierluigi Maneschi che con Greensisam ha ottenuto la concessione su un altra fetta consistente del Porto Vecchio - loro alla fine hanno deciso in questo modo dopo essersi informati con me su quello che è il mio calvario che dura da ben dodici anni. Io a questo punto non mollo, ho perso troppi soldi, beati loro che possono permettersi di farlo perché il Porto Vecchio di Trieste non è un profit-center, ma è un cost-center. Mi dispiace solo che una parte della città pensi che siano i concessionari a non voler partire, in realtà sono gli enti e le amministrazioni statali, regionali e locali che non collaborano tra loro e che fanno mancare sempre qualche permesso, come stanno facendo da anni con noi.» Portocittà sostiene di aver comunque già buttato via 10 milioni di euro in particolare «per sviluppare la progettualità necessaria (progetto definitivo delle marine, verifica di assoggettabilità alla Via, risoluzione delle inteferenze infrastrutturali) e per riaprire tavoli di confronto e di procedura che per molti anni erano stati disattesi (riattivazione del procedimento di bonifica del terrapieno di Barcola, tavolo di lavoro avviato con il Ministero per i Beni culturali in ordine alla valorizzazione dell’intero compendio del Porto Vecchio)». È stato «il protrarsi del regime d’incertezza generale» che contraddistigue l’operazione e che «ha reso vani i numerosi contatti avuti con potenziali utilizzatori e coinvestitori» a indurre il concessionario a lasciare avanzando contestualmente il ricorso al Tar con l’obiettivo di recuperare parte dei soldi già investiti e di evitare le penali previste dal rigetto unilaterale della concessione.

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