«Porto Vecchio, indietro di 32 anni»

La “fotografia” del presidente dell’Associazione Sergio Razeto: «La conseguenza della ritirata dei concessionari»
Di Gabriella Ziani
Lasorte Trieste 18/04/07 - Wartsila - Razeto
Lasorte Trieste 18/04/07 - Wartsila - Razeto

A ogni angolo e minuto un punto d’allarme, uno stop e un crollo, un crac e un dolore (non solo di tasca) dietro la vetrina di Trieste che par sempre la stessa ma che la crisi si sta mangiando. Dalla plancia degli industriali, come in Confartigianato si contano i “caduti”, tutto questo si vede, misura e soppesa. Alla fine il presidente triestino di Confindustria, Sergio Razeto, non trova una sola casella tutta in sole, e alla città dà «un 6 come incoraggiamento». Perché è ottimista per natura e mestiere.

Presidente, le piccole imprese chiudono. Le vostre?

Qualche chiusura ci sarà. Qualcuno che sta mollando c’è. L’impresa che non esporta soffre, la maggioranza tiene botta con fatica. In questa situazione politica, tra i provvedimenti fiscali e il terrore del domani, anche chi ha possibilità non spende più, per cautela. Chi serve il mercato locale lo satura quindi subito.

Il settore più a rischio?

Il manifatturiero. Se da tempo denunciamo che a Trieste l’industria è solo il 10% del Pil, ora prevediamo che la percentuale si ridurrà. Sotto il 10%.

Traducendo nei fatti?

Sono industria e agricoltura, settore primario e secondario, gli unici a creare valore. Il terziario, il più presente a Trieste, è quello dei servizi, che fanno funzionare i primi due. Ma se non ci sono, non serve. E infatti a Trieste cominciano a soffrire banche e assicurazioni. La mia preoccupazione è assolutamente legittima. Un’economia sta in piedi solo con più gambe.

Dunque Trieste non sta in piedi. Ma voi industriali che cosa avete fatto per incidere?

Noi facciamo pressione su chi ha le leve del potere. Abbiamo evidenziato le criticità da risolvere, per rendere il territorio più attrattivo.

Certi territori ricreano con le “start up” più posti di lavoro di quelli persi dall’industria tradizionale. Lei vede più di noi aziende tecnologiche, figlie della scienza?

Qualcosa si vede, ma realtà molto piccole. Difficilmente qui diventano aziende grandi.

Tutte in Area di ricerca? Un po’ assistite? O lei conosce una realtà diversa?

Sì, tendenzialmente tutte in Area di ricerca. È vero, un po’ assistite. Bisognerebbe dinamicizzare un po’...

Se uno le chiedesse: come si ricrea, qui, un’industria?

La principale industria di Trieste dovrà essere il porto...

Lei usa il tempo al futuro? Oggi non lo è?

No, non lo è. Può diventarlo. Magari con idee diverse, ampliandosi verso realtà diverse. La città è molto favorita dalla posizione geografica, ma nello stesso tempo questa le porta anche svantaggi. I paesi limitrofi godono di condizioni migliori. La Carinzia suona il suo canto molto attraente. La Slovenia ora è in crisi, ma nelle crisi si possono anche creare condizioni migliori per attrarre... E c’è un porto molto vicino, giovane, aggressivo: Capodistria. O si lavora assieme, oppure...

Anni fa Luka Koper voleva sbarcare a Trieste, e fu bloccato. Lei che cosa avrebbe fatto?

Io sarei stato d’accordo. Come manager di una multinazionale (Wãrtsilã, ndr) io vivo nel mondo, non vedo l’importanza di un confine. Aggregarsi per una migliore ricezione portuale a me sembra cosa ovvia. Sa i commenti di certi armatori cinesi? “Ma che cosa avete qui? Un lago...?”. Parlavano del mare Adriatico.

Siamo al punto: al Punto franco, lama divisoria in città. Una pepita o un laccio?

Pepita no. Non è di per sè uno strumento di attrazione. Può essere di vantaggio per passaggio di merci con loro trasformazione, ma solo per paesi extra-Ue, e solo in Porto nuovo. Non in Porto vecchio, difatti da 30 anni non si usa più.

I concessionari di Portocittà son fuggiti. Il suo primo pensiero?

Che siamo tornati indietro non di due, ma di 32 anni. Un pensiero terribilmente triste.

Da imprenditore, condivide la loro decisione?

Buona domanda. Credo che difficoltà burocratiche e crisi li abbiano portati a mollare. Un peccato veramente. Sento ora parlare di lottizzare quelle aree? È un altro tipo di idea. E io favorisco tutto ciò che porta movimento. In Porto vecchio bisogna assolutamente ricominciare, far qualcosa. Noi qui vediamo invece sempre la politica dell’attendere.

Le capita mai di pensare che un passo in avanti è impossibile?

Sì, c’è tanto di “bloccato”. È la maledizione che contraddistingue Trieste. Città che si ama facilmente, dove si vive bene. Ma dove si pensa che tutto ciò duri per sempre.

Della Ferriera si sa che non dura. Anche qui scontri: al suo posto meglio industria o logistica portuale?

Chiude nel 2015, ma il rischio, serio, è che accada prima. Estremamente doloroso per Trieste. Siamo in dialogo col consulente del sindaco, Francesco Rosato. C’è una concessione che scade a fine anno: è da riutilizzare subito. La logistica non dà molti posti di lavoro, e le aree di banchina sono ottime per insediamenti industriali. Servono entrambi. Ma è urgente che da Roma arrivi (e che i parlamentari di ciò s’interessino) l’inclusione della Ferriera fra le “crisi complesse”. Solo così avremo due cose essenziali: finanziamenti (quale imprenditore viene a pagarsi le bonifiche?) e accelerazione delle procedure.

In Confi ndustria avete anche alberghi. Che aria tira?

Situazione non male. Ma bisogna incrementarla. Il turismo qui è cresciuto, però la crisi ha portato ora in Italia a un calo del 14%. Trieste deve ricordarsi che fa parte dell’Italia.

Il turismo è fondamentale o variabile per l’economia?

Fondamentale. Il turismo “è” industria. Porta valore. E deve essere perciò organizzato come un’industria. Ma a Trieste bisogna cambiare: portare un turismo più ricco. È vero però, come dissi a suo tempo, che non siamo né Montecarlo né Venezia. Anche questo settore va integrato con gli altri.

E la cultura? Costa, costa. E si “taglia” per prima.

No, se fatta bene è un “business”, e io lo vorrei vedere. Qualche intellettuale non mi guardi male, ma io, ingegnere, la coda per vedere gli impressionisti l’ho fatta. Credo molto nella cultura. La città deve tirar fuori il suo meglio, e venderlo. In pacchetto, con cucina e vino.

Tutto questo non c’è?

No, in sostanza non c’è. Ne racconto una. Per lavoro volo spesso a Helsinki, da Lubiana (fino a qualche anno fa si partiva da Ronchi...). Aereo sempre pieno di finlandesi. Giovani d’estate, anziani in altre stagioni. Pensavo che poi se ne andassero in giro, invece mi sono informato: no, restano tutti quanti in Slovenia.

Come giudica l’amministrazione Cosolini?

Due elementi ne hanno limitato la possibilità di movimento: i bilanci, il patto di stabilità. Spero che nell’ultimo periodo ci sia una fase di ripresa, che consenta una maggior azione.

Il neo-assessore allo Sviluppo Edi Kraus le sarà piaciuto: gli piace il rigassificatore.

Mi piace ma non per questo. È un valido imprenditore, che conosco e stimo moltissimo. Gli ho mandato subito un “sms”: “Prontissimi a lavorare assieme”. Io non entro nel merito dei problemi della sicurezza (anche se non mi vedo queste 3000 navi in porto...) ma so che il gas è il propellente del futuro e che il mercato navale è uno dei pochi che tiene, e solo per la costruzione di gasiere...

Da zero a 10, che voto vuol dare adesso a Trieste?

Non voglio mai essere negativo. Un 6. Non sotto la sufficienza. Ma dobbiamo lavorare per non finirci. Un 6 di incoraggiamento, diciamo così.

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