Porto di Trieste, l’inerzia camuffata da prudenza

Era il 2 marzo del 2024, quando Zeno D’Agostino annunciò le proprie dimissioni. Da quella data il sole è tramontato ed è risalito in cielo per quattrocentotredici volte; il porto è ancora senza presidente. L’esecutivo Meloni, sedicente governo del fare, non ha provveduto. A giorni, forse a ore, la situazione è in dirittura d’arrivo. Bene, ma non è l’arrivo di uno sprint. È stata una maratona. Al rallentatore

 

Fabrizio Brancoli
Una veduta del porto di Trieste (Silvano)
Una veduta del porto di Trieste (Silvano)

Ricordate Zeno D’Agostino? Era il presidente del Porto di Trieste, tempo fa. Che forte, Zeno. Rimase in quella carica per circa nove anni, molto apprezzati qui e altrove, per strategie e operatività. Un giorno lontano annunciò le proprie dimissioni. Era il 2 marzo del 2024: mica ieri. Da quella data il sole è tramontato ed è risalito in cielo per quattrocentotredici volte; il porto è ancora senza presidente. L’esecutivo Meloni, sedicente governo del fare, non ha provveduto. A giorni, forse a ore, la situazione è in dirittura d’arrivo. Bene, ma non è l’arrivo di uno sprint. È stata una maratona. Al rallentatore.

C’è qualcosa che in Italia riesce sempre bene, meglio che all’estero. È l’arte di non decidere. Viva il Made in Italy! È un talento raffinato, coltivato con pazienza, tramandato di generazione in generazione, talmente efficace da impaludare anche le nostre analisi e diffondere la sensazione che tutto ciò sia normale. Non ci indigna più, lo consideriamo fisiologico. Prendere tempo, rimandare, valutare delicati equilibri di potere, convocare tavoli, commissioni, sottocommissioni, colloqui, audizioni. Rallentare. Fermarsi. Individuare priorità e urgenze diverse. Rinviare, soprattutto, l’atto più insopportabile della penisola: la scelta. Peccato che la penisola sia un asse centrale del Mediterraneo e uno snodo cruciale per i traffici tra l’Europa e un paio di Continenti. L’economia corre, gli equilibri geopolitici si spostano, le occasioni transitano. Intanto noi facciamo un altro giretto di consultazioni.

Il problema dell’immobilismo non è solo nell’inerzia. Il punto è che ridimensiona anche le buone idee. Una decisione giusta, se arriva con oltre un anno di ritardo, può diventare meno efficace, o vana. È come se consegni l’acqua a un podista dopo il traguardo. Lo disseti ed è un bene. Ma la gara è finita, non inciderai sul risultato.

Davvero quasi 14 mesi sono, in quest’epoca, un tempo “naturale” da riservare a un cuore pulsante come il Porto di Trieste? Ci siamo dilettati con irresistibili metafore da campionati di gioco da tavolo: il risiko delle nomine nelle autorità portuali il domino che si innescherà dopo la prima scelta. “La più bella astuzia del diavolo è quella di persuadervi che egli non esiste”, scrive Charles Baudelaire nei poemi dello Spleen di Parigi. Il demone dell’immobilismo ci ha convinto che non esiste un problema. Perché “in Italia è così”.

Parliamo di uno dei punti nevralgici della logistica europea. Le nomine salperanno, tardi, dall’ufficio di Matteo Salvini, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti (che non vede l'ora di andare a un altro dicastero, gli Interni). La gestione commissariale è utile, certo, ma per sua stessa natura (non potrebbe essere altrimenti) tiene in ordine i cassetti più che progettare le architetture. Fuori dagli oblò di questo sommergibile inabissato si agita, tanto per cambiare, una tempesta globale. Il mondo fa zapping con se stesso. Le rotte commerciali si scompigliano, le economie vivono scosse telluriche e i porti concorrenti si muovono, spesso con strutture decisionali rapide e snelle. Noi, intanto, giochiamo a risiko e a domino. Non per fare i millenaristi, e lieti di essere smentiti da reazioni e rimonte. Ma corre l’obbligo di segnalare il rischio che si perdano investimenti e centralità. Se non prendi decisioni, qualcun altro lo farà al posto tuo. E non nel tuo interesse.

Ora che l’immobilismo sta per finire, bisogna dire che l’immobilismo non è giusto. Né innocuo. È una zavorra camuffata da prudenza. Un freno spacciato per ponderazione. Occorrerebbe un atto rivoluzionario: decidere in tempo utile. Come se si trattasse di una cosa importante. Perché questa lo è. —

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