Storia del Porto nuovo di Trieste: lo sviluppo di una città fra gru e silos
Gli inizi del ’900, il grano degli anni Venti fino poi al caffè: la storia dello scalo attraversa più di un secolo con le sue passerelle, banchine, dighe e i magazzini
Il Passeggio Sant’Andrea offre, adesso come cent’anni fa, uno sguardo verso le strutture del Porto Francesco Giuseppe, poi porto Vittorio Emanuele III Duchi d’Aosta e oggigiorno Porto Nuovo. Se il vecchio scalo, complici i vincoli della Soprintendenza decisi a inizio duemila, si presenta come un tutt’uno unitario, il Porto Nuovo si mostra frammentato: un’area in trasformazione, essendo il centro focale delle attività portuali correnti.
Eppure risulta evidente come anche il Porto Nuovo, sviluppatosi nella direttrice verso l’odierno Canale industriale e infine Muggia, presenti elementi storici spiccati: la sfida, essendo questo terreno (franco) dell’Authority, rimane garantire lo sviluppo e la competitività dello scalo a confronto con i cugini di Capodistria e Fiume, senza rinunciare al recupero di specifici elementi.
Il terzo porto
La costruzione di questo terzo porto, dopo quello teresiano-giuseppino e quello ferroviario, fu deciso nel 1898, con i primi lavori iniziati nel 1901 quando si scelse di gettare “un fondo sicuro di costruzione” utilizzando i massi delle cave di Sistiana e il greto del bacino di Panzano. Verso il 1910 erano ormai bene delineate le zone per la costruzione dei magazzini, il molo V con le banchine e, in misura minore, i moli VI e VII. L’ultimo atto di questo porto, all’epoca intitolato a Francesco Giuseppe, fu nel 1914 il posizionamento delle prime gru elettriche e delle bitte d’ormeggio.
Il magazzino 57
Dal Passeggio di Sant’Andrea il primo edificio che balza all’occhio è proprio un grande magazzino, riverniciato di rosso, dalle forme lineari e squadrate comparabili con il Porto Vecchio. Era il magazzino 57, tra i pochi edifici realizzati all’interno del Porto nel periodo austriaco.
Le forme monolitiche, specie nella presenza dei quattro bassi torrioni e nelle terrazze con ringhiera per lato lungo, richiamano gli stilemi dei magazzini del Porto Vecchio; impressioni che si ripetono con il secondo magazzino visibile, il 72, stavolta di un colore grigio pietra.
Quest’ultimo, con i suoi sette piani di altezza, denuncia bene dimensioni e altezze incomparabili con gli spazi limitati del precedente scalo: eppure permane un richiamo al gotico quadrato con la sottile torretta laterale.
Il dopoguerra
Nel primo dopoguerra il governo italiano si impegnò per il restauro tanto del vecchio quanto del nuovo porto; e in quest’ultimo caso lo scalo Duchi d’Aosta iniziò ad assumere quella conformazione con la quale siamo familiari. In particolare, dopo aver completato le dighe foranee, si rese utilizzabile il molo VI.
Il bacino danubiano, nello scenario dei nuovi – litigiosi – Stati nazionali nati dalla frammentazione dell’impero austriaco, era caratterizzato negli anni Venti e Trenta da un forte commercio del grano: nel 1913 Trieste aveva movimentato 2.104.360 quintali di granaglie; nel 1924 le masse erano salite a 3.244.050; e infine nel 1928 si era giunti a un picco di 4.824.740.
Il Silos dei cereali
In questo contesto si colloca lo sviluppo del Porto Nuovo e la costruzione, nel 1937, del grande silos per i cereali: il manufatto degli anni Trenta di maggiore importanza all’interno dell’impianto logistico del Porto Nuovo. Il Silos venne concepito su un terreno “tutto guadagnato al mare”, come raccontò la Rivista Mensile della Città di Trieste, “con un lavoro arduo e pieno di difficoltà”.
Oltre 500 pali, conficcati fino a 20 metri di profondità nel fondale, permisero di inserire le camere stagne per il macchinario di lavorazione del grano, sulla cui fondazione si costruirono tre diversi corpi di fabbrica: un silos a celle, un silos a piani e la torre macchinario tutt’oggi presente che eleva l’intera struttura.
L’intero complesso, dal caratteristico colore rosso, consentiva di immagazzinare 4.000 quintali all’ora di grano che veniva automaticamente pesato, pulito, ventilato e disinfettato, prima di essere immagazzinato e rispedito. L’assoluta modernità del silos trapelava dalla possibilità di fare contemporaneamente lo scarico tanto dalle navi, quanto dai carri ferroviari.
La Stazione Elettrica
Sempre nel cuore del Porto Nuovo, a fianco dei magazzini più vecchi, si colloca uno dei pochi edifici tutelati, ovvero la Stazione Elettrica del 1911. L’edificio, realizzato dall’ingegnere Antonio Gregoris, presenta dettagli in pietra del Carso e una scala metallica a curva. I capitelli con volute, presenti presso l’ingresso, ricordano vagamente lo Jugendstil.
Il Silocaf
Spostandosi all’estremità dei vecchi magazzini portuali, alla radice del Molo VII, è individuabile una struttura bianco verde, simile a uno squadrato grattacielo. Si tratta del Silocaf della società Pacorini; struttura recente, ma non troppo risalendo infatti al 1986.
Dall’agosto del 1985 al luglio 1986 il porto franco di Trieste sdoganò oltre 146 milioni di chilogrammi di caffè crudo, pari al 55% dell’intero consumo nazionale italiano. In questo contesto si collocò la costruzione del Silocaf, una costruzione automatizzata capace all’epoca di gestire 500 tonnellate di caffè all’ora. Con 2.100 metri quadri di dimensione, il Silocaf già nel 1986 poteva caricare 6 autotreni da 30 tonnellate nell’arco di soli 20 minuti, gestendo 4500 tonnellate di caffè verde.
Costruito dalla ditta Sangati di Padova, il Silocaf fu il secondo impianto di questo genere in tutta Europa, superato solo da Amburgo.
Il silos del caffè
Il silos del caffè ne permetteva non solo l’immagazzinaggio, quanto la manipolazione e la containerizzazione, con la possibilità di mescolare diverse tipologie di caffè per predisporre le miscele richieste dagli operatori, oltre a pulire, selezionare e insaccare i milioni di chicchi. L’operazione di Pacorini ebbe un ruolo cruciale, a metà anni Ottanta, nella rivitalizzazione del porto in un periodo di generale crisi della logistica e ancor più della cantieristica.
Il molo Settimo
Il Silocaf presto cede il passo al Molo VII: struttura a lungo prevista quale asse portante del porto il cui battesimo del fuoco, nel 1972, fu con la nave Katharine battente bandiera tedesca, ma proveniente da Israele. Dotato di “modernissime attrezzature”, tra cui i trasportatori Lancer, Peiner e i “cavalieri”, il molo VII ricevette la sua prima nave nel mezzo di uno sciopero dei portuali, con i container che rimasero ad aspettare sulle banchine.
Discendendo dal Passeggio di Sant’Andrea a livello del terreno, a fianco della linea ferroviaria, s’incontra una delle poche sopravvivenze del passato ferroviario della zona: “la comoda passerella di cemento armato” (cit. Pozzetto, 1934) costruita nel 1931 onde connettere il viale inferiore e il recinto del Punto Franco Nuovo. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo