Porto franco di Trieste, il governo Draghi apre al confronto con Bruxelles
Primo spiraglio dopo anni di pressing infruttuoso su Roma. L’esecutivo ha accolto l’ordine del giorno presentato dal Pd
TRIESTE Porto franco: altro giro, altra corsa. Dopo la lettera con cui il commissario europeo Paolo Gentiloni ha chiarito il mese scorso che la richiesta di applicazione dell’extradoganalità per lo scalo triestino deve partire direttamente dal governo, l’esecutivo di Mario Draghi prende un mezzo impegno a mettersi in moto.
Nel corso dell’approvazione della legge di stabilità in Parlamento, il governo ha accolto un ordine del giorno, presentato dai senatori Pd Tatjana Rojc e Tommaso Nannicini, con cui si dice pronto a valutare di «avviare l’interlocuzione con le istituzioni europee per chiarire nel merito la piena e integrale applicazione dello speciale status del Porto franco internazionale di Trieste, alla luce degli obblighi internazionalmente assunti dalla Repubblica italiana e tutt’oggi vigenti, qualora si rendesse necessario, anche con l’esclusione dei punti franchi del porto di Trieste dal territorio doganale dell’Unione europea».
Bisognerà ora vedere cosa accadrà oltre quanto vergato su carta in burocratese, visto che la formula dell’ordine del giorno «impegna il governo a valutare» l’opzione. Nulla di certo insomma, ma è pur sempre quell’apertura di credito che mancava, dopo anni di infruttuose pressioni sul ministero dell’Economia, restio a riconoscere uno status speciale per Trieste, nonostante la richiesta ormai divenuta unanime da parte di tutte le forze politiche del Friuli Venezia Giulia, oltre che dell’Autorità portuale.
A promuovere l’iniziativa è nuovamente la senatrice Rojc. Era stata lei a ottenere la prima risoluzione del Senato sull’extradoganalità del porto di Trieste e la conseguente richiesta alla Commissione europea inviata dalla camera alta, cui era seguita a novembre la risposta di Gentiloni che, in qualità di commissario all’Economia, non aveva chiuso la porta alla realizzazione del porto franco, limitandosi a chiarire che la richiesta sarebbe stata valutata qualora fosse arrivata dal governo e non da uno dei due rami del Parlamento.
Il passo aveva scatenato il dibattito pubblico sull’importanza di unire le forze per raggiungere il risultato e sui rischi che il sogno svanisse per sempre, come sostenuto dagli esegeti più pessimisti del pensiero di Gentiloni, che formalmente si è limitato solo a giudicare impropria la richiesta pervenuta dal Senato e a evidenziare vantaggi e svantaggi derivanti dall’applicazione del nuovo regime.
Rojc torna alla carica nel corso dei lavori sulla finanziaria e il governo accoglie il suo ordine del giorno, che chiede a Roma di comunicare alla Commissione europea la propria disponibilità alla «piena attuazione delle previsioni giuridiche inerenti il regime di extradoganalità dei punti franchi del porto di Trieste», che non prevede solo l’esenzione dei dazi sull’importazione di merci provenienti da paesi terzi, ma anche su tutte le attività di trasformazione industriale connesse. Possibilità vista dagli operatori portuali come il volano per far decollare la creazione di nuovi stabilimenti sul territorio.
«Sono convinta – sottolinea la senatrice del Pd – che solo una costante e forte pressione politica e istituzionale possa far muovere Roma e Bruxelles sullo status del porto di Trieste. Qui l’interesse del territorio e quello nazionale coincidono, ne abbiamo avuto una prova con gli enormi investimenti decisi dal Pnrr, per cui ora bisogna fare un altro decisivo passo. Con i colleghi Pd del Senato, e in sintonia con Debora Serracchiani alla Camera, stiamo alzando l’attenzione su Trieste. È chiaro che una spinta importante dovrebbe venire anche dai vertici istituzionali della Regione e del Comune».
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