Porto di Trieste, cancellato l’ultimo contenzioso sull’area. Decolla il terminal ungherese all’ex Aquila

Si sblocca la situazione dopo il rogito da 25 milioni firmato a giugno. Entro i primi mesi del 2021 la proprietà a Adria Port
Il Canale navigabile, al cui imbocco sorgerà il futuro terminal multipurpose gestito dall’impresa pubblica ungherese Adria Port. Fotoservizio di Massimo Silvano
Il Canale navigabile, al cui imbocco sorgerà il futuro terminal multipurpose gestito dall’impresa pubblica ungherese Adria Port. Fotoservizio di Massimo Silvano

TRIESTE La pendenza di una vecchia causa ha bloccato in questi mesi la trattativa fra governo ungherese e ministero dell’Ambiente, per il risanamento dell’area ex Aquila di Trieste e la realizzazione del nuovo terminal portuale all’imbocco del Canale navigabile. Il Consiglio di Stato ha ora tagliato il laccio, annullando un ammuffito contenzioso giacente al Tar, che il governo magiaro considerava l’ultimo impedimento per rilevare proprietà e concessione dei terreni.

Nei prossimi mesi l’impresa pubblica ungherese Adria Port potrà dunque presentare il piano di riqualificazione, dopo aver firmato a giugno un rogito da 25 milioni per rilevare le società Seastok e Aquila (ex Teseco), acquisendo una superficie abbandonata di 32 ettari, affacciata sul mare per 300 metri e servita da una linea ferroviaria in restauro.

Budapest ha tuttavia subordinato la compravendita alla cancellazione dei contenziosi legali che le due imprese avevano da anni in piedi con le istituzioni italiane, pur trattandosi di società inattive ed esistenti di fatto solo sulla carta. In ballo c’è una concessione di sessant’anni e il governo Orbán non vuole sorprese, dopo aver deciso di dirottare da Capodistria a Trieste gli investimenti logistici sull’Adriatico.

Dopo il rogito, Regione e Consorzio industriale hanno subito ritirato una causa depositata anni or sono contro Teseco, per non aver mai portato a termine la bonifica dei terreni inquinati delle Noghere, di cui era stata incaricata da due enti pubblici. Negli ultimi giorni si è risolto invece il complesso nodo di Seastok. La vicenda si apre nel 2013, quando l’Autorità portuale guidata da Marina Monassi affida a Teseco la concessione nel comprensorio ex Aquila, allo scopo di realizzare un terminal portuale. Seastok aveva comprato in precedenza dei terreni proprio accanto, per installare un impianto per lo stoccaggio di gas liquido.

La società formata da Butan Gas, Liquigas e Socogas contestava all’Ap di non aver potuto concorrere per l’assegnazione della concessione, a causa della scarsa pubblicità data alla gara pubblica. Nel 2017 il Tar ha dato ragione a Seastok, annullando la concessione di Teseco (ora Aquila) per sei ettari di area demaniale. Spettava al Consiglio di Stato dirimere la questione in secondo grado, dopo l’appello dell’Autorità portuale. Per gli ungheresi era impossibile firmare assegni con la concessione in bilico e, per sbloccare la cessione e l’incasso dei venti milioni offerti da Budapest in modo decisamente inatteso, i vertici di Seastok hanno assicurato che avrebbero chiuso il contenzioso con l’Ap.

La decisione del Consiglio di Stato sancisce appunto il ritiro della causa e la possibilità per Adria Port di chiudere l’acquisto, assicurandosi 26 ettari di terreni privati di Seastok e 6 di area demaniale con affaccio al mare in concessione ad Aquila. Dopo il rogito, Seastok ha comunicato al Consiglio di Stato di «rinunciare al ricorso chiedendo la declaratoria di estinzione del giudizio di primo grado». La richiesta è stata accolta dai giudici e ovviamente accettata dall’Autority. La rimozione del ricorso cancella l’ultima condizione ostativa per gli ungheresi, che possono ora concludere l’acquisto delle due società.

Adria Port otterrà il passaggio della concessione entro i primi mesi del 2021 e dovrà poi siglare l’Accordo di programma con il ministero dell’Ambiente, relativamente alla riqualificazione dell’area inquinata e alla costruzione della nuova banchina. La prima intesa con l’Ungheria sull’ex Aquila risale al luglio 2019, ma il confronto col ministero non è mai entrato nel vivo e si è limitato allo scambio di lettere di intenti.

In questo periodo gli ungheresi hanno però lavorato sull’analisi dei rischi e sui piani di caratterizzazione necessari per presentare una proposta di risanamento dell’ex raffineria. Progetti definiti non esistono ancora, ma per l’Accordo di programma si seguirà lo stesso modello in atto per la Ferriera di Servola: smantellamento dell’esistente e messa in sicurezza permanente, tramite copertura con calcestruzzo dei terreni inquinati, barrieramento a mare e trattamento delle acque di falda. Come spiega il segretario generale dell’Ap Mario Sommariva, «ora ci saranno tutti i passaggi di natura demaniale per l’effettivo subentro e Adria Port avrà pieno titolo per avviare i progetti di bonifica e infrastrutturazione».

Da Budapest il ministro degli Esteri Péter Szijjártó ha intanto scritto al ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli per confermare l’avvio del confronto con il ministero e auspicare che l’opera possa beneficiare degli aiuti del Recovery Fund. Fra messa in sicurezza e infrastrutture, la realizzazione del terminal multipurpose costerà agli ungheresi una cifra compresa fra 80 e 100 milioni: pur critico sul piano generale sugli aiuti comunitari, il governo Orbán non disdegnerebbe che una scheggia del Recovery Fund servisse ad alleviare i costi. – © RIPRODUZ

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