«Porte chiuse e corridoi deserti. La solitudine è entrata in corsia»

Le riflessioni del responsabile infermieristico della Medicina interna di Cattinara De Chiara. «In 20 anni mai vista una situazione così difficile. I pazienti la affrontano bene e a volte sdrammatizzano»

TRIESTE Un lavoro costante per impedire il contagio, creando delle zone di quarantena e spostando pazienti al fine di ridurre al massimo i rischi. Nella Struttura complessa di Medicina interna a Cattinara il lavoro è continuo per cercare di tutelare i pazienti, soprattutto anziani con patologie croniche, dal Covid-19. Antonio De Chiara è il responsabile infermieristico, insieme ad Angelo Iaquaneillo, della struttura diretta dal dottor Dario Bianchini, a capo anche del Dai (Dipartimento attività integrate) di Nedicina che racchiude anche la Geriatria, la Nefrologia e dialisi, la Clinica medica, la medicina Clinica e la Formazione e ricerca traslazionale di ultrasonografia vascolare e angiologia.

Nel reparto di Medicina interna, al nono piano, solitamente ci sono 14 infermieri e 16 Oss, ma alcuni in questo periodo sono stati spostati a supporto di altre strutture. «È un gruppo giovane - racconta De Chiara - con una età media intorno ai 30 anni che gestisco da tre anni. Sono ragazzi motivati che hanno fatto squadra anche fuori dal reparto. In 20 anni di esperienza non mi ero mai trovato a dover affrontare qualcosa di simile: a loro sta capitando appena finita l’università e questo è sicuramente un impatto professionale molto forte». Nel reparto ci sono 41 posti letto. «Con l’arrivo del Covid-19 - spiega il responsabile infermieristico - abbiamo creato delle stanze di isolamento per i casi sospetti mentre quelli conclamati sono stati subito trasferiti all’ospedale Maggiore nel reparto Infettivi. Non bisogna dimenticare che questi pazienti sono i soggetti più a rischio».

Un cambio radicale anche nelle abitudini di tutti i giorni visto che «Trieste ha una popolazione anziana e l’ospedale è un punto di riferimento importante e per questo è sempre affollato da persone che magari non necessitano di cure ospedaliere. Con l’arrivo dell’epidemia abbiamo dovuto chiudere il reparto ai familiari, inizialmente consentendo le visite a un solo parente, ora non può entrare nessuno. La maggior parte delle stanze ha la porta chiusa e questa per noi è una novità assoluta. Eravamo abituati a poter guardare dentro le stanze magari anche solo per un sorriso che a volte era prezioso per chi è costretto a letto tutto il giorno. Non sappiamo neanche quello che accade dentro le stanze, gli ospiti hanno il campanello per chiamare, però non è la stessa cosa».

Solitudine è la parola che più ricorre nei discorsi legati al coronavirus. «Abbiamo sostituto le visite di persona - spiega De Chiara - con quelle virtuali attraverso i telefonini di ultima generazione, e nel caso in cui il paziente non riesce a farlo da solo, siamo noi a supportarlo». Esiste poi il tema più delicato: in ospedale purtroppo non sempre si guarisce. «E in genere familiari e parenti erano presenti per l’ultimo viaggio. Ora questo non è più possibile». Cattinara e il Maggiore sono “Ospedali in emergenza” questo significa che le strutture sono completamente blindate. «Trovi corridoi vuoti - prosegue De Chiara - e nei pochi spostamenti interni non incontri quasi nessuno, non è Cattinara di alcune settimane fa».

Il reparto di Medicina ha visto un calo dei ricoveri: «La popolazione sta reagendo bene e molti hanno ridotto gli accessi al Pronto soccorso, questo significa una diminuzione anche degli arrivi di pazienti nel nostro reparto. Nel dipartimento di Medicina la Clinica medica è stata allestita per ospitare i casi sospetti di Covid-19: se dopo i due tamponi i pazienti risultano negativi, vengono trasferiti da noi dove solitamente i ricoveri durano dai sei agli otto giorni. Al momento abbiamo un tasso più basso di occupazione dei letti, però la situazione cambia continuamente». I pazienti stanno reagendo bene. «Negli anziani - prosegue il referente - c’è una certa razionalità nell’affrontare la situazione. Qualcuno ogni tanto prova anche a sdrammatizzare: capita magari quando spostiamo un paziente da una stanza da due a una da quattro. Alla fine comprendono anche le nostre difficoltà in questo momento così complesso. Molti si informano e ci chiedono come stanno procedendo le cose all’esterno. Poi ci sono dei casi in cui i pazienti non sono lucidi e quindi l’approccio attraverso le mascherine e le protezioni diventa più complesso perché manca il contatto fisico e visivo. Anche tra il personale c’è qualche timore, però cerchiamo con i turni di creare delle squadre che siano il più possibile in grado anche di sostenersi a vicenda». Asugi ha attivato per tempo tutte le procedure e i protocolli necessari per affrontare la situazione: «L’unico ritardo ha riguardato la distribuzione dei dispositivi di protezione, ma è stata una criticità a livello nazionale. All’inizio abbiamo dovuto razionarli per evitarne un uso improprio magari legato anche alla paura di contrarre il virus. Ora stanno arrivando, all’inizio però è stata dura».

De Chiara è originario di Aversa, in provincia di Caserta, e quando è scoppiata l’emergenza Coronavirus ha ovviamente pensato ai suoi familiari in Campania: «Mai però mi sarei sognato di prendere un treno o di andare giù: chi lo ha fatto è un criminale. La sanità del Sud è molto più fragile, siamo preoccupati per i nostri cari, ma li abbiamo voluti proteggere». —


 

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