Pola guarda a Ovest e lamenta: Trieste è sorda

«Trieste, e chi la vedi?» Il vicesindaco italiano di Pola, Fabrizio Radin, non ha esitazioni a rispondere, quando lo si interroga sui rapporti della sua città con il capoluogo giuliano. Camminando incessantemente nel suo ufficio, un po’ lugubre con i mobili tutti neri, anche se illuminato da sciabolate di sole che filtrano dalle imposte, nell’elegante palazzo municipale (anno 1296), spiega che da Trieste non è arrivata nessuna iniziativa economica. «Abbiamo imprenditori di altre parti d’Italia – rileva –, Lombardia, Emila Romagna, Veneto, ma da Trieste niente. C’era stato qualche contatto con le «Generali» ma non se n’è fatto nulla. «Solo noi italiani – continua Radin, che è anche presidente della Comunità nazionale – ha contatti con Trieste perchè c’è l’Università popolare». Ricordiamo che l’Università popolare di Trieste (UpT) è l’ente che cura dagli Anni Sessanta i rapporti tra l’Italia e la minoranza italiana in Slovenia e Croazia, gestendo i fondi del governo di Roma. Rapporti intensissimi che riguardano soprattutto il settore scolastico, ma non solo, anche la costruzione o la ristrutturazione delle sedi della Comunità (a proposito quella di Pola è assolutamente splendida), la formazione culturale con concerti, conferenze, viaggi di studio e iniziative varie.


Tutte attività che calamitano gli appartenenti al gruppo nazionale italiano, che a Pola sono circa cinquemila, verso la città giuliana. Va detto che recentemente si assiste a un fiorire di richieste d’iscrizione alla Comunità italiana anche da parte di persone che proprio italiane non sarebbero perchè hanno bisogno di acquisire la cittadinanza italiana, il «passaporto» per diventare cittadini europei. Perchè c’è purtroppo un aspetto curioso, se vogliamo qualificarlo così, che riguarda la comunità italiana divisa dal confine istriano: i connazionali in Slovenia sono cittadini europei, dopo l’ingresso di Lubiana nella comunità, mentre i connazionali che vivono in Croazia sono extra-comunitari, esattamente come gli albanesi o i tunisini.


Ma tornando al rapporto con Trieste, Radin aggiunge che c’è qualche contatto a livello istituzionale: «Proprio nella sede della Comunità italiana ospitiamo l’ufficio per la Euroregione». Si tratta del progetto avviato dal presidente del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy, per creare un’entità che ricomprenda aree di Paesi diversi, come il Veneto e il Friuli Venezia Giulia in Italia, la Carinzia austriaca, il Litorale sloveno (ma in questo caso è tutto da vedere perchè la Slovenia non ha ancora realizzato la suddivisione in regioni, peraltro richiesta dall’Ue) e appunto l’Istria. Un progetto che trova tra i suoi sostenitori più entusiasti il presidente istriano Ivan Nino Jakovcic. Secondo Radin è necessario riprendere i contatti tra le due città: «L’Adriatico è la risorsa che abbiamo in comune», avverte.


Ma, lascia capire, che da Trieste non arrivano segnali di interesse. «È una città in cui mi sento meglio che a Fiume o a Zagabria» afferma un connazionale al circolo italiano. Però ormai le occasioni per andarci stanno diminuendo. Non si va più a comprare perchè ormai si trova tutto a casa. E neanche la Ipsilon istriana, che ormai congiunge Pola con il confine croato-sloveno sulla Dragogna, serve perchè si sta rivelando insufficiente, oltre che pericolosa, tanto che già si profila il raddoppio. «Tra le due città c’è una sordità assurda – afferma la gallerista Gorka Cvajner – abbiamo storia, cultura, economia in comune e non siamo riusciti a instaurare un rapporto. Ed è una città che io amo moltissimo, trovo che sia bellissima e sono contenta di andarci».


Una mancanza di rapporto che affonda le sue radici nel dramma di sessant’anni fa, quando Pola venne svuotata e molti suoi cittadini si trasferirono proprio a Trieste con il loro retaggio di dolore, rabbia e frustrazione. Però, come conferma la professoressa Silvana Vruss, presidente della Dante Alighieri e responsabile del settore cultura della Comunità, oggi i rapporti con gli esuli sono eccellenti. A testimoniarlo le cerimonie fatte insieme in questi ultimi anni per ricordare la strage di Vergarolla (oltre 70 morti e un centinaio di feriti) dell’agosto 1946, su cui regna ancora il mistero, che comunque accelerò l’esodo dell’anno successivo. «Quello che manca è la volontà politica di avviare o riavviare questo rapporto» rileva la scrittrice Nalida Milani, autrice con Anna Maria Mori dello splendido libro «Bora» dedicato proprio a quegli anni tremendi visti da chi è andato e da chi è rimasto, e di tante altre opere, oltre che ex docente alla facoltà di magistero di Pola.


«Non so di chi sia la colpa – aggiunge Nelida Milani – so di sporadici incontri tra Illy e Jakovcic, ma più di questo... poi tra i due Municipi... Certo che era la città dello shopping e ci si andava per quallo. Ma adesso abbiamo tutto qui: ci sono super e iper mercati...» «Perchè il consumismo qui da noi ha sostituito il socialismo – aggiunge amara – diminuendo la protezione sociale nei settori della sanità, della maternità... La classe operaia poi non esiste più». Anche i giovani che vanno a frequentare l’università a Trieste sono destinati a diminuire. Pola vuole la sua università. Oggi esistono tre facoltà, filosofia, economia turistica e magistero, quest’ultima in italiano, dipendenti dall’università di Fiume. «Mi sembrava un progetto megalomane – chiosa Gorka Cvajner – invece devo ricredermi, perchè mi sono resa conto che anche piccole città hanno i loro atenei, come Udine, l’importante è la qualità degli insegnanti». Gorka Cvajner, visto il suo mestiere di gallerista, ci tiene a sottolineare che l’ateneo dovrà dare spazio alle arti visive. In Istria – dice – ci sono tantissimi ragazzi ben preparati che escono dagli istituti d’arte come quello della nostra città. Lo dimostra anche la rassegna «Ars Attac» che organizzo ogni anno proprio per i giovani talenti e quest’anno ce ne sono un’ottantina...».


L’idea dell’università a Pola piace anche alla professoressa Vruss, che rileva come spesso sia accaduto che i ragazzi istriani che sono andati all’università a Trieste o in altri atenei d’Italia, non sono più tornati. Frequentando l’università a Pola c’è un minor pericolo di una fuga di cervelli, però va notato che l’insegnamento è in croato, anche se c’è una facoltà in italiano e si ipotizza l’allargamento dell’uso della nostra lingua, ma le resistenze sono notevoli. I 115 chilometri tra Trieste e Pola sembrano tanto più distanti: sarà per il doppio confine, sarà per l’«assurda sordità», sarà per la mancanza di una volontà politica da entrambe le parti. Ma sta di fatto che Trieste, da qui, è proprio lontana

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