«Podgora, il sacrificio di 53 carabinieri»

«L’impresa appariva difficile, se non addirittura impossibile, ma nessuno di quei giovani carabinieri si sarebbe sottratto all’occasione di contribuire ad un successo che avrebbe potuto orientare favorevolmente le sorti del conflitto in quest’area del fronte”. Alle 11 il sole picchia implacabile sui plotoni schierati sulla piazza d’armi della caserma “Cascino” e le parole del generale di Corpo d’armata Tullio Del Sette sono accompagnate dal frinire delle cicale. Ad un secolo esatto dall’epico assalto alla quota 240, in via Trieste è il comandante generale dei Carabinieri in persona a ricordare la battaglia del Podgora. Di fronte al palco, la bandiera di guerra dell’Arma e quella del 13° Reggimento Fvg sono accompagnate da battaglioni composti dai carabinieri del 13°, del 7° e della Territoriale di Gorizia, Gradisca e Monfalcone. Tutto a destra dello schieramento si trova la fanfara del 3° Reggimento carabinieri “Lombardia”. Che l’azione del 19 luglio 1915 fosse suicida, apparve chiaro a tutti sin dall’inizio. Il personale non era stato addestrato al combattimento: i compiti dei carabinieri erano altri. Le mansioni erano principalmente di polizia militare, eppure, come ricordato dal comandate Del Sette, nessuno si tirò indietro: «Ognuno era certamente consapevole che la loro vita era legata a un filo. Lo testimoniano le lettere d’addio che alcuni portavano in tasca, nelle quali con poche semplici parole salutavano i propri cari. Come il carabiniere Orazio Greco, medaglia di bronzo al valor militare, caduto quella mattina. Su un pezzo di carta conservato nella giubba aveva scritto: “Chi per la patria muore, vissuto è assai”. Oggi ricordiamo un evento che ha segnato un momento epico nella partecipazione dei carabinieri nella Grande guerra. Onoriamo una delle tappe salienti della storia militare dell’Arma, cardine dello spirito di servizio e di rigore morale e professionale».
In tutto, l’assalto alla quota 240 durò 5 ore, ma la vicenda iniziò il 6 luglio, quando il Secondo e il Terzo battaglione del Reggimento carabinieri reali mobili vennero mandati in prima linea accompagnati dalla bandiera di guerra dell’Arma e dalla banda. Per i carabinieri si trattava di un impiego del tutto nuovo. Nella sua storia, l’Arma aveva mobilitato solo reparti di polizia militare e di sicurezza. «Come i fanti, i carabinieri affrontarono i tormenti della vita di trincea scavando camminamenti e subendo lo stillicidio della malattia e del tiro nemico. Finché venne il giorno della prova - ha ricordato il comandante generale -. Sotto una pioggia di fuoco, allo scoperto, cinque compagnie incuranti delle perdite avanzarono per ore a più ripresa, fino a un pugno di metri dall’obiettivo, dove alle 15 si riorganizzarono per l’ultimo balzo. Alle 16 il comando del sesto Corpo d’armata fermò l’attacco. Troppo oneroso in termini di vite umane e ordinò di attestarsi sulle posizioni raggiunte». In appena cinque ore, tra morti feriti e dispersi, le perdite furono 206. Quell’azione entrò nei libri di storia perché il comando supremo aveva ottenuto il suo scopo: fare spostare un consistente numero di truppe nemiche dal Carso a Gorizia. L’impresa divenne esemplare e portò al conferimento di 9 medaglie d’argento e 33 di bronzo, oltre a 13 Croci di guerra al valore militare. «Noi oggi non vogliamo ricordare unicamente gli eroi di quella battaglia, come il capitano Eugenio Losco o il carabiniere Domenico Della Giorgia – ha quindi sottolineato l’alto ufficiale -. A cent’anni di distanza, quando già da tempo tutti i protagonisti sono morti, vogliamo onorare la memoria di tutti i carabinieri caduti in quell’attacco, in quella guerra, in tutte le battaglie che l’Arma ha affrontato nei suoi 201 anni di storia». Da parte sua, il sindaco Romoli ha inserito l’episodio nel più ampio contesto delle vicende belliche: «Gli italiani stavano scoprendo quello che gli altri eserciti avevano scoperto nel 1914: la prevalenza della difesa sull’attacco, la prevalenza del filo spinato, delle mitragliatrici e dei tiri d’artiglieria che impedivano agli assalti di avere successo come nelle guerre precedenti. Fu un fatto d’armi glorioso nel quale i carabinieri si sacrificarono per tentare di liberare Gorizia»
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