Pochi clienti e affari in calo La crisi colpisce l’antiquariato
di Maddalena Rebecca
Cassapanche settecentesche condannate a raccogliere polvere in magazzino. Servizi d’argento che fino a poco tempo fa avrebbe fatto gola a schiere di collezionisti, dimenticati in un angolo. Persino preziosissimi bronzi egizi fermi da settimane dentro teche sempre meno ammirate. Sono gli effetti di una crisi che, dopo aver mietuto vittime in tanti comparti, sta colpendo anche il mondo dell’antiquariato triestino. Un settore fin qui considerato inossidabile e in un certo senso “impermeabile” alle bizze dei mercati – le cose belle, dicevano i nonni, non passano mai di moda -, e che invece oggi si scopre più vulnerabile che mai.
Operatori
Per trovare conferma, basta parlare con gli addetti ai lavori. Da Furio Princivalli, che assieme al fratello ha appena deciso di abbassare le serrande de Il Giardino di via Diaz dopo 40 anni di attività, si apprende che «i giovani preferiscono ormai il moderno e i loro genitori hanno già le case piene di oggetti antichi». Lorenzo Turco, titolare della galleria Ixion di via Punta del forno, una delle poche in Italia a trattare antiquariato archeologico, descrive il 2011 come «di un periodo disastroso, con perdite di almeno il 40% rispetto al già deludente 2010». Gianfranco Iesu, sul mercato da decenni con l’omonimo negozio in via Venezian, riferisce di un ramo, quello dei mobili d’epoca, «completamente fermo». E Paolo Sessa, a capo dell’Eurekart con sede in via del Coroneo e in Ungheria, rincara la dose raccontando di «un mercato internazionale che cambia», - con lo storico compratore di riferimento, gli Stati Uniti, che ha chiuso i rubinetti -, e di un mondo, quello del piccolo negozio che si rivolge al gruppetto di amatori, scalzato via da nuovi meccanismi di vendita.
Trasformazioni
Alla base delle criticità del settore, spiegano gli iscritti triestini dell’Associazione antiquari Fvg (13 soci, diventati 12 dopo la chiusura del Giardino), non c’è solo la perdita del potere d’acquisto delle famiglie. «È in atto un cambiamento più ampio - spiega Paolo Sessa -. Non si vende meno solo perchè ci sono meno soldi in giro. Il ricco, infatti, continua ad esserci e a potersi permettere beni importanti. Il punto è che non esiste più la figura del collezionista a caccia di pezzi di antiquariato. Ormai l’attenzione si è spostata tutta sul Novecento e la ricerca stessa delle opere ha cambiato pelle. Le aste on line stanno sostituendo il rapporto fiduciario con il piccolo antiquario. E per sopravvivere e resistere a questa forma di concorrenza sleale (anche perchè le aste, così come le fiere, non sono tassate) - conclude Sessa - è essenziale ammodernarsi».
I giovani e l’arte
C’è poi un secondo fattore alla base della crisi del comparto: l’assenza totale di interesse da parte dei giovani. «Gli under 40 affollano gli eventi dedicati all’arte contemporanea, penso ad esempio ArteFiera di Bologna, e non mettono piede nei negozi di antiquariato - precisa Lorenzo Turco -. Inoltre quei pochi giovani che apprezzano gli oggetti più antichi - e io, che mi occupo di una nicchia particolare, quella dell’antiquariato archeologico, ne ho alcuni tra i miei clienti - hanno una disponibilità di spesa limitata. Va detto poi che la crisi ha spazzato via la fascia media. Tra la mia clientela fino a poco tempo fa avevo un numeroso gruppo di persone che compravano pezzi tra i 1500-3mila euro. Oggi quella fetta è completamente sparita. E se a questo si aggiunge il fatto che anche i compratori più facoltosi, per ragioni di tipo psicologico, hanno ridotto le spese, è facile capire la drammaticità della situazione. Non parlerei di momento difficile, ma di una vero e propria tragedia. Il calo delle vendite nel 2011 è stato almeno del 40% rispetto all’anno precedente. Teniamo duro -conclude il titolare di Ixion -, ma siamo vicini a cantare il de profundis.
Aiuti che non arrivano
Come invertire quindi un trend tanto negativo? «Servirebbe un aiuto del governo - osserva Gianfranco Iesu -. Noi svolgiamo un’opera meritoria, contribuendo a salvare un patrimonio storico e artistico che altrimenti andrebbe perduto. Nonostante questo lo Stato non ci sostiene e ci tratta da semplici commercianti».
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