Plebiscito per Berlusconi in Friuli Venezia Giulia

Non solo Tondo ma tutti i big del partito approvano per ora la svolta di Silvio Gottardo: «La trasformazione del Pdl è necessità ampiamente condivisa»
Di Marco Ballico
Lasorte Trieste 04/02/13 - Stazione Marittima, Incontro PdL con Silvio Berlusconi
Lasorte Trieste 04/02/13 - Stazione Marittima, Incontro PdL con Silvio Berlusconi

TRIESTE. Tutti con Berlusconi. Ma quasi tutti d’accordo su un punto: non per far cadere il governo. Adesso che anche Renzo Tondo, superate le perplessità sul grado di “bollitura” del Cavaliere, entra nella schiera lealista, in Friuli Venezia Giulia Forza Italia mette il Pdl in soffitta. Lo fa con lo spirito del ’94 dell’asse Riccardi-Blasoni-Savino, con Sergio Dressi e gran parte del gruppo consiliare. Ma coinvolgendo anche Isidoro Gottardo, convinto che «ci sono i margini per tenere unito il partito».

L’appello dei protagonisti è alla compattezza. Massimo Blasoni, che da mesi crede in un nuovo corso azzurro, spiega che, «pur con tesi diverse, bisogna lavorare per l’unità di Fi». Alessandro Colautti, dal fronte consiliare, fotocopia: «Se i connotati saranno unitari, è una prospettiva che vedo con favore». Il nodo vero, in realtà, non è il ritorno a Fi. «La trasformazione del Pdl è ampiamente condivisa», dichiara Gottardo. Così come nessuno dubita che Berlusconi, pure in questa fase, debba essere il leader. Perfino Tondo, uno dei primi a suggerire al Cav una via d’uscita («Così non si può andare avanti», diceva l’ex governatore nel novembre 2011), ha firmato il documento che azzera le cariche del predellino. Il vero nodo sono gli obiettivi immediati di Fi. La maggior parte dei regionali respinge il fucile puntato sulle larghe intese. Non in una situazione in cui, sottolinea Bruno Marini, «sarebbe un tragico errore negare un governo al Paese». Lo dice il consigliere triestino, forzista 2.0 della prima ora, come l’”alfaniano” Gottardo: «Una Fi aperta, leggera, partecipativa, sussidiaria, ancorata ai valori del Ppe, alternativa alla sinistra è una prospettiva cui puntiamo in tanti. Ma, premesso che ci sono mille motivi che ci dividono dal Pd, smettere di inseguire l’obiettivo delle riforme significherebbe gettare al vento un anno di lavoro». Dressi, il vicecoordinatore, condivide: «Niente agguati». E rinvia per questo ogni decisione al consiglio nazionale dell’8 dicembre: «Ascolteremo i programmi concreti per risanare un’Italia che va sempre più a fondo e scopriremo le regole della rinata Fi. Se corrisponderanno alle mie attese, ci sarò».

Le attese sono per una linea politica «che decida eventualmente di affondare il governo in conseguenza di azioni poco decise e di risultati negativi, non che coltivi una forma di vendetta con motivazioni esterne agli interessi dei cittadini». Una Forza Italia “alla Santanché” non convincerebbe nemmeno Colautti, il capogruppo che a sua volta rimanda le scelte a dicembre: «Si tratta di procedere a una modifica statutaria, vedremo quale sarà la maggioranza. Certo, il clima fa prevedere qualche smottamento. Pure in regione, dove ci sentiamo tutti un po’ precari». Colautti ha già fatto sapere che aderirà a Fi, «una Fi a trazione Berlusconi con opportuni meccanismi di selezione della classe dirigente», ma non a costo di digerire una spaccatura: «L’ex premier ha chiarito che il governo va avanti, ma una crisi di governo al buio non sarebbe comprensibile». Blasoni la pensa invece in modo diverso. «Posizione personale», rimarca. Il lavoro dell’esecutivo non soddisfa l’imprenditore friulano: «Dal punto di vista dell’economia, il Paese ha bisogno di scelte radicali. E dunque sposo felicissimo la linea di Fi, assolutamente contraria al neocentrismo». Nessuna deriva destrorsa, assicura: «Mi pare che a prevalere sia lo spirito liberale delle origini». Quanto alla caduta o meno del governo, Blasoni commenta: «Non vorrei che la stabilità diventasse stagnazione. Servono misure incisive, un governo che ospita idee che vanno dalla Camusso al liberismo fatica a procedere».

Situazione, tra i distinguo sul futuro di Letta, abbastanza definita. In Fvg ci sono i seguaci del ’94 (con Blasoni anche Riccardi e Savino), i pochi alfaniani (Gottardo e Paride Cargnelutti i più in vista) e i pochissimi incerti. Uno di questi, Tondo, ha fatto la sua scelta. Tutto da verificare che possa bastare per assicurarsi la leadership azzurra in regione, ma la chiamata di Berlusconi è una prima legittimazione. Si andasse alla spaccatura dopo l’8 dicembre, con tanto di crisi di governo, lo scenario cambierebbe di certo. Per adesso uno come Marini, che si era mosso in anticipo uscendo dal gruppo del Pdl direzione Misto auspicando un’insegna forzista in Consiglio, gongola: «Le ultime vicende confermano la bontà della decisione di De Anna e mia del 25 luglio». Ma avverte: «I falchi non rovinino tutto».

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