Pizziga, da naufrago a latitante

L’uomo fuggito in Brasile con i soldi di clienti, scampò nel ’72 a una delle maggiori tragedie navali di Trieste
Di Pietro Spirito

C’è un naufragio nella vita inquieta di Danilo Pizziga, l’imprenditore di 61 anni, titolare della ditta “Montaggi e manutenzioni meccaniche” fallita nel 2009, fuggito in Brasile portando con sé tre milioni di euro della ditta e un debito nei confronti del fisco di circa 700mila euro. Quarantadue anni fa, nel marzo del 1972, allora appena diciannovenne, Danilo Pizziga fu uno dei due sopravvissuti al drammatico naufragio della nave “San Nicolas”, colata a picco dopo essersi spezzata in due la notte del 5 marzo all'imbocco del Golfo del Messico, tra lo Yucatan e Cuba. Fu una delle maggiori tragedie della marineria triestina, ricordata proprio pochi giorni fa nel corso di una conferenza al Museo del Mare. Dei trenta componenti l'equipaggio, sette dei quali triestini più due monfalconesi, si salvarono solo i meccanici di bordo Giorgio Gagliardo, di 28 anni e, appunto, Danilo Pizziga, entrambi triestini. Pizziga e Gagliardo furono ripescati dalla nave greca "Simsmetal", sfiniti e al limite della resistenza, dopo sei giorni in balia del mare aggrappati a una zattera. Erano 600 miglia a sud est di New Orleans, senza cibo né acqua, e avevano visto sparire tra i flutti, uno dopo l'altro, altri tre compagni naufraghi (ma sembra che in principio fossero di più) saliti assieme a loro sulla zattera. Tutti gli altri imbarcati, fra cui due donne, morirono nel naufragio. Nessun altro corpo venne recuperato.

Partita da Recife, in Brasile, il 21 febbraio 1972 con un carico di 16 mila tonnellate di melassa, la motocisterna "San Nicolas" avrebbe dovuto raggiungere il porto di New Orleans il 6 marzo. Varata in Svezia nel 1951 con il nome di "Bergen Bergesen", diventata poi "Wirna" e infine "San Nicolas", la nave era una motocisterna da 10.225 tonnellate di stazza battente bandiera liberiana. L'equipaggio, arruolato dall'agenzia Agemar di Trieste, era composto da 17 italiani, nove spagnoli e quattro jugoslavi. Il comando era affidato al monfalconese Pino Vidali, di 43 anni, il cui padre, fra l'altro, era scampato al naufragio dell'"Andrea Doria". Terzo ufficiale di coperta era una ragazza appena diplomata al Nautico di Trieste, Maria Antonia Cont, 20 anni, originaria di Trento. Rossa di capelli, esuberante e piena di vita, Maria Antonia era al suo primo - fatale - imbarco. Alla vigilia della partenza era felicissima di aver avuto quella opportunità. L'altra donna a bordo della nave era Laura Lorenzi, 25 anni, moglie del direttore di macchina Bruno Malle, di 28 anni, entrambi di Trieste. Furono visti l'ultima volta mentre cercavano scampo a poppa, da uno dei due sopravvissuti, Giorgio Gagliardo. Gli altri triestini imbarcati, e destinati a non tornare, erano il cuoco di bordo Biagio Giambri, di 50 anni, il radiotelegrafista Diodato Maurin, di 63, l'ufficiale Fabio Letizza, 32 anni.

Il naufragio avvenne di notte, poco dopo le 23 del 5 marzo. All’inizio la stampa accreditò l’ipotesi che la nave fosse finita fuori rotta schiantandosi sulle rocce di una secca. Ma successivi accertamenti, a cominciare da una prima inchiesta della Us Coast Guard, stabilirono che lo scafo si era spezzato in due in mare aperto a causa di un errore nella distribuzione del carico. La melassa, che ha un alto peso specifico, invece di essere caricata “a scacchiera” per distribuire meglio il peso era stata versata nelle cisterne alternando pieni e vuoti. Il vecchio scafo non aveva retto e si era spezzato. Pizziga e Gagliardo raccontarono di aver sentito a un tratto un forte colpo. In un attimo la “San Nicolas” si era terribilmente inclinata, i motori si erano fermati, le luci spente, e nella più assoluta oscurità ognuno aveva cercato scampo come poteva. «Non ci fu il tempo di calare le scialuppe, né di lanciare l'Sos - spiegarono i due naufraghi dopo il salvataggio - la nave affondò in poco più di cinque minuti tra le urla di chi nuotava nel buio».

Gagliardo, rimasto appeso alla battagliola di poppa, si ritrovò in acqua. Accanto a lui galleggiava la zattera usata per le pitturazioni fuori bordo. Sopra c'erano già Danilo Pizziga, il capo fuochista Franco Grande, il cuciniere Sergio Tagliapietra e l'ingrassatore Jelko Vendramin. I cinque naufraghi furono presto trascinati via dalla corrente. Per loro iniziò un lungo calvario fatto di giornate infuocate e notti gelide, senza niente da mangiare né bere, con la quasi impossibilità di muoversi per non ribaltare il precario rifugio. In quei giorni il tempo si mantenne buono, accanto alla zattera passarono diverse navi, e sopra di loro diversi aerei, ma nessuno li vide. Uno dopo l'altro cedettero abbandonandosi all’oceano, nell'ordine, Giambri, Tagliapietra e Vendramin. «Quando sorgeva il sole alla fine di una notte gelida - ricordarono i due sopravvissuti - uno di noi non c'era più». Dopo sei notti e cinque giorni Pizziga e Gagliardo furono finalmente visti e raccolti dalla nave greca "Simsmetal", diretta alle coste dell'Alabama. Disidratati, affamati, ustionati dal sole, vennero ricoverati in un ospedale di New Orleans. Tornarono a Trieste il 18 marzo, e raccontarono in una conferenza stampa organizzata dall'Agemar la loro avventura fumando una sigaretta dopo l'altra. Il giorno prima le ricerche delle altre ventotto tra vittime e dispersi erano state definitivamente sospese. Il mare si tenne tutto, nave ed equipaggio, restituendo solo pochi effetti delle dotazioni bordo. Fra queste, un salvagente con il nome "San Nicolas". In più di quarant’anni da quella tragedia Danilo Pizziga non ha mai raccontato pubblicamente cosa accadde in quei giorni da naufrago, su una zattera in balia dell’oceano. Di lui non si parlò più, tranne che nel 2008, quando venne arrestato per aver sparato in aria con una pistola, completamente ubriaco. E adesso, quando ha deciso di porre rimedio al naufragio della sua ditta riparando in Brasile. Proprio là dov’era partita la “San Nicolas” per il suo ultimo viaggio.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo