Pirati somali, il padre di Bon: «Pagato il riscatto per mio figlio»

TRIESTE. «Sono un pensionato artista; stavo serenamente dipingendo un quadro quando, con una telefonata, il mondo mi è crollato addosso. Avevano sequestrato mio figlio, era nelle mani dei pirati somali». Nel suo appartamento in centro città a Trieste, seduto dietro una scrivania, Adriano Bon all’indomani della notizia della liberazione del figlio Eugenio e di tutto l’equipaggio della “Savina Caylyn” ripercorre il calvario iniziato l’8 febbraio.
«In questi quasi 11 mesi la mia vita e quella di mia moglie sono state sconvolte - spiega - ma per fortuna ho saputo subito non farmi prendere dalla disperazione, un sentimento e una condizione che paralizzano. In questi casi, come nello judo, bisogna utilizzare la forza negativa come sprone ad agire. Per tutto questo tempo è stata la costernazione, la rabbia a tenermi attivo, non il dolore». Ora il padre e la madre di Eugenio attendono il figlio a casa, dove arriverà però non prima di Capodanno: l’equipaggio della petroliera della “Fratelli D’Amato” sta portando l’unità in un porto degli Emirati Arabi, dove sosterà in manutenzione straordinaria per alcuni mesi. Ieri erano già sotto la protezione della fregata “Grecale” della Marina militare ed erano in corso i preparativi per la trasferta: tutti i 17 indiani e i 5 italiani a bordo sono in condizioni di salute soddisfacenti.
«Non ne sono certo - commenta Adriano Bon - ma è quasi scontato che il riscatto sia stato pagato: i pirati somali non sono gente che fa regali di Natale. Certo la somma non è stata data dallo Stato italiano. Per legge non può farlo ma vi è stato verosimilmente un accordo tra armatore e compagnia assicuratrice. Sembra che i Lloyd di Londra, britannici, non abbiamo gli stessi legacci legislativi e burocratici dell’Italia». Un elicottero, come già in casi analoghi, avrebbe recapitato una prima tranche della somma e così sarebbero stati liberati dapprima gli indiani, poichè Nuova Delhi per precedenti episodi è invisa ai fuorilegge africani, poi con il “saldo” del riscatto i nostri connazionali. «Lo Stato italiano - aggiunge Bon - pur non essendone responsabile è di fatto impotente di fronte agli atti di pirateria. Da qui la mia arrabbiatura e lo stimolo, continuato per tutto il sequestro, a mobilitarmi per Eugenio. Sono stati mesi intensi e anomali per un pensionato e padre di famiglia. Mi sono ritrovato a gestire i rapporti con i mass media, a parlare con diplomatici e politici: nessuno si rifiuta di parlare con te in questi frangenti. Con mia moglie, che ha partecipato a Napoli a un sit-in, abbiamo esercitato pressioni sulla “Fratelli D’Amato” e organizzato fiaccolate e mobilitazioni. Ma anche quando ero sotto i riflettori tv non provavo l’emozione che magari mi coglie presentando una mia mostra. Perché lo stavo facendo per lui, per Eugenio e dovevo mantenermi lucido per aiutarlo». Bon infine ringrazia tutti, «dai sindaci ai 10mila che sul sito gestito con generosità da Erica Alessio hanno seguito la vicenda su Facebook, dandoci appoggio». Il papà dell’ex ostaggio invita il primo cittadino di Trieste a organizzare in piazza dell’Unità una festa per il rientro del figlio: «Sa, è un evento difficile da gestire in famiglia. Così potremmo con l’occasione togliere lo striscione per la liberazione di Eugenio che pende dal municipio. In Italia c’è ancora molta gente generosa, che prende parte a cause giuste: forse non le viene data “voce” adeguata ma c’è. È un segnale che, specie di questi tempi, fa ben sperare».
Adriano può ora invece “dare voce” ai sentimenti che l’hanno accompagnato lungo questo “calvario”: «Pensavo a lui ogni giorno, molte volte: quando mangiavo, quando mi stendevo a letto, pensando alle sue difficili condizioni di vita paragonate alle mie comodità. Ora sto attendendo una sua telefonata, ancora non l’ho sentito da uomo libero. Cosa gli dirò? Gli chiederò della sua salute e di farsi una foto con la barba prima di radersi, così per ricordo. Lui quando tornerà a casa sono sicuro che dopo i primi momenti vorrà dare un’occhiata alla televisione. Mi dirà: papà capiscimi, sono stato isolato dal mondo per 11 mesi, devo recuperare».
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