Pipì in strada, le multe resistono alla Cassazione

Fare pipì per strada, sentenzia la Cassazione, non è reato se è urgente. Però a Trieste, fanno intuire a Trieste, resta punibile, anche se è urgente. Ma come, un comune si sottrae alla giurisprudenza della Suprema corte dello Stato? No, e ci mancherebbe. Pare sia tutta questione di forma. La Cassazione - dicono dal Municipio - viene chiamata al caso a esprimersi da chi, per aver dato corso alle proprie impellenze fisiologiche contro il muro di una casa o fra due macchine parcheggiate, si vede in altre città contestare anche l’accusa di atti contrari alla pubblica decenza. Un reato, quindi, previsto dal Codice penale, all’articolo 726. È su questo, sul Codice penale, che la Corte suprema si pronuncia. Non su un Regolamento comunale. E a Trieste il divieto di fare pipì per strada è per così dire normato proprio da un apposito Regolamento approvato “in casa”, noto ai più come ordinanza anti-pipì fin dai tempi dell’ex sindaco Dipiazza.
Suona più o meno così la spiegazione che viene appunto dal Municipio davanti alla notizia circolata in questi giorni a proposito dell’ultima di una serie di sentenze uscite in anni recenti dalla Cassazione, che ha appena assolto un 55enne di Belluno, condannato precedentemente a 200 euro di ammenda con “incriminazione” per atti contrari alla pubblica decenza, Codice penale alla mano. Era stato sorpreso dai carabinieri infatti mentre liberava la notte la propria vescica dolorante in una stradina secondaria, poco distante da una piazza in cui c’era il ristorante dove aveva mangiato. «Sono dispiaciuto - spiegò - ma sono stato costretto a usare questa stradina poiché i tentativi di utilizzare i servizi del ristorante sono falliti». La proverbiale impellenza.
«La condanna aveva causato - l’osservazione dell’avvocato Fabio Giuggioli, il suo legale - una serie di problemi al 55enne che, quale dipendente pubblico, si era visto precludere la partecipazione ad alcuni concorsi, non essendo più incensurato». Ecco la differenza. A Trieste non scatta una denuncia penale, materia di stretta competenza della Suprema corte, bensì una sanzione amministrativa prevista da un codice di regole cittadino, la cui osservanza è garantita anzitutto (anche con agenti in borghese che girano di notte) dalla polizia municipale, il corpo di polizia non dello Stato ma della stessa città. Salatissima peraltro: 500 euro. Nel 2012 i vigili hanno beccato 84 persone, facendo altrettante multe. Nel 2013, a un mese e mezzo dalla chiusura dell’anno, siamo a quota 52. Non che qui i reclami non esistano. Vanno indirizzati al servizio Gestione e controllo demanio e patrimonio immobiliare del Comune. Chi ha impugnato la sanzione - chi più chi meno, come fa sapere il vicesindaco Fabiana Martini, assessore alla vigilanza - ha asserito urgenze. Tutti i ricorsi sono stati respinti. E in Municipio non hanno notizia di qualche altro ricorso accolto dal giudice di pace, l’alternativa del reclamo come “giudice terzo” rispetto a un ufficio del Comune.(pi.ra.)
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