Piero Dorfles e i cento libri che trasformano il mondo in una famiglia di lettori

Da Kafka a Buzzati, a Verne: il giornalista critico e conduttore televisivo nato a Trieste ha scelto i romanzi e un solo racconto che «rendono più ricca la nostra vita»
Bumbaca Gorizia 18/05/2008 èStoria, Quando l'eroe è un avatar Piero Dorfles - Foto di Roberto Coco *** Local Caption *** Piero Dorfles
Bumbaca Gorizia 18/05/2008 èStoria, Quando l'eroe è un avatar Piero Dorfles - Foto di Roberto Coco *** Local Caption *** Piero Dorfles

Bastano pochi secondi per ottenere la risposta. Yahoo? Ma certo, diranno tutti, è uno dei più importanti motori di ricerca nel grande spazio del web. Pochi ricorderanno che quel nome deriva dai “Viaggi di Gulliver” Dal capolavoro di Jonathan Swift, un classico del ’700, un libro immortale che chiamava Yahoo gli esseri immondi che vivevano tra escrementi e carogne. E il Grande Fratello? Ci sono fior di onorevoli che, davanti al Parlamento schierato, lo spacciano per un famoso romanzo di George Orwell. Ma quel libro si intitola “1984” e il Grande Fratello, nell’utopia al nagativo dello scrittore morto nel 1950, è un sistema di telecamere pronto a controllare la vita dei cittadini. Nome preso, poi, a prestito dal reality della tivù.

Inutile negarlo: il dialogo tra i lettori del terzo millennio con i grandi capolavori della letteratura è sempre più difficile. Pochi ricordano che dietro quel film straordinario di François Truffaut che è “Fahrenheit 451”, dove bruciano i libri per evitare che la gente si faccia domande, c’è un romanzo di Ray Bradbury uscito quindici anni prima della pellicola. E che se oggi stravince al cinema e in libreria la trilogia di “Divergent”, della scrittrice americana Veronica Roth, ottant’anni fa Aldous Huxley aveva già immaginato lo scontro tra il Potere e un gruppo di “divergenti” nel suo “Mondo nuovo”.

Insomma, da troppo tempo qualcuno ci vuole far credere che i grandi classici della letteratura siano ormai solo un pacco di fogli ammuffiti. Una collezione di storie da rottamare. Ma non è così. E Piero Dorfles, giornalista, critico nato a Trieste, popolarissimo in tivù come conduttore della trasmissione “Per un pugno di libri” insieme a Patrizio Roversi, Neri Marcorè, Veronica Pivetti e Geppi Cucciari, ha scritto un delizioso saggio narrativo per dirlo. Si intitola “I cento libri che rendono più ricca la nostra vita”, lo pubblica Garzanti (pagg. 3012, euro 14,90). Porta i lettori a viaggiare a ritroso nel tempo, e nei mondi della letteratura per scoprire e riscoprire il fascino intramontabile di carti gioielli di carta.

Non è una classifica, questa, non pretende di avere il valore del catalogo definitivo. E non è neppure uno sfoggio di erudizione, ma piuttosto una dichiarazione d’amore per i libri. Anche perché, tanto per dire, non ci sono capolavori immensi come la “Divina Commedia” di Dante e i “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni. E nemmeno “Iliade”, “Odissea”, “Don Chisciotte”, “Paradiso perduto”, “Racconti di Canterbury”, “Decamerone”. O tanti altri libri più recenti, dai “Malavoglia” a “Arcipelago Gulag”, da “Il piacere” a “Le anime morte”. No, questo è un viaggio tra le pagine necessario per conoscere i cento libri «che sono entrati a far parte dell’immaginario letterario collettivo», come scrive Dorfles. Quelli, insomma che «permettono di stabilire un contatto con gli altri lettori perché rappresentano un patrimonio comune ineludibile».

Dorfles è convinto che la lettura di certi libri formi una sorta di comunità virtuale. Una famiglia di cui fanno parte milioni di persone che neanche si conoscono, e probabilmente non si incontreranno mai. Ma che, tuttavia, condividono tra loro l’amore per quella storia. Per questo inserisce nel libro, in appendice ai cento romanzi scelti, un racconto che ha cambiato il nostro tempo: “La metamorfosi” di Franz Kafka. Storia dell’impiegato Gregor Samsa che una mattina, destandosi da sogni inquieti, si trova trasformato in un insetto mostruoso. Qualcosa tipo uno scarafaggio gigante. Nel destino di quell’uomo che viene rifiutato dalla sua stessa famiglia, e finirà nella spazzatura come una cosa ormai inutile, si riflette la condanna di tutte le persone che non riescono a sintonizzarsi con i comportamenti codificati dal mondo.

Dorfles divide i cento capolavori che ha scelto in dieci grandi contenitori. Per dimostrare come, a distanza spesso di tanto tempo, gli scrittori si sono messi a fantasticare, a riflettere su temi che finiscono per appassionare, coinvolgere, inquietare l’umanità intera. Come “L’utopia negata”, sorta di riflessione sulle «magnifiche sorti e progressive» di leopardiana memoria, che unisce nel tempo il ’700 di Swift e la Russia stalinista del pirotecnico “Maestro e Margherita” di Michail Bulgakov, l’Italia degli affari torbidi di “Todo modo” di Leonardo Sciascia e il fallimento del sogno comunista dove «qualche animale è più uguale degli altri» della “Fattoria” di George Orwell.

La letteratura, spesso, anticipa il tempo. E se Jules Verne, nel suo “Ventimila leghe sotto i mari” ha fatto del tenebroso Capitano Nemo, sempre in cerca di una rivincita sul mondo, una sorta di antenato di Osama Bin Laden, Italo Calvino nel “Barone rampante” ha precorso quel fremito di ribellione capace di scuotere l’Europa e l’America nel ’68. Perché il destino degli uomini e dei personaggi da romanzo corre su binari paralleli. Chi abita le fiabe e i romanzi di formazione si muove nella stessa direzione. «Le prove - in genere tre - che i giovani devono superare per diventare adulti, farsi amare e sconfiggere il nemico sono, in fondo, simili a quelle di Ulisse ed Enea», annota Dorfles.

A ben guardare, la Raperonzolo dei fratelli Grimm è un po’ Giulietta di William Shakespeare; Biancaneve forse assomiglia alla Rossella O’Hara di “Via col vento” di Margaret Mitchell; Pelle d’orso ricorda Zeno Cosini di Italo Svevo, indeciso su quale delle sorelle Malfenti scegliere come moglie.

E se ancora oggi chi vuole capire il mondo del giornalismo non può non leggere “Bel Ami” di Guy de Maupassant, tra le pagine del “Ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde spunta il terrore di invecchiare, così familiare al nostro tempo. E se Alberto Moravia tratteggia nel “Conformista”, pubblicato nel 1951, il divenire di un uomo che agisce sempre e solo per opportunismo, lottando per costruirsi una maschera da persona normale, Giovanni Drogo del “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati porta su di sé le stigmate dell’uomo che brucia la vita nel rispetto delle regole. Nell’obbedienza alle istituzioni in cui si è fatto intrappolare.

I libri spaventano e divertono. E insegnano a diffidare. Anche di chi crede che l’erudizione, il sapere arido e sterile, sia la via giusta per salvare il mondo. Perché, altrimenti, si finisce per assomigliare al personaggio di Jorge Luis Borges in “Finzioni”. Lui ricordava tutto, con precisione maniacale, ma non riusciva a pensare.

alemezlo

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