Picchia la moglie incinta, ennesimo caso a Trieste. Parla lo psichiatra Baiocchi: «Relazioni come gabbie»
TRIESTE Maltrattata e picchiata per anni, anche durante la gravidanza. La vittima è una trentenne di origini straniere che risiede da anni a Trieste. La donna ha denunciato l’ex marito, pure lui nato all’estero ma radicato da tempo in Italia. L’uomo, 34 anni, deve rispondere sia di stalking che di una serie di atti violenti avvenuti tra il 2012 e il 2018. Per la prima ipotesi di reato l’imputato è a processo, per l’altra è in udienza preliminare (gup Marco Casavecchia). Il pm è Chiara De Grassi.
L’ex moglie (difesa dall’avvocato Giovanna de’ Manzano) ha riferito nella denuncia che il marito (difeso dallo studio Alunni Barbarossa) la picchiava abitualmente: «Quando ero incinta voleva farmi abortire e mi tirava calci in pancia», ha raccontato la trentenne. «Poi mi pestava se mi rifiutavo di avere rapporti sessuali e mi costringeva ad averli».
È l’ennesimo caso di violenza familiare quello che si è trovato ad affrontare il Tribunale in questi giorni. Vicende come queste interrogano non solo le istituzioni, ma anche psicologi e terapeuti. «Sono gabbie relazionali», rileva Paolo Baiocchi, psichiatra e psicoterapeuta, direttore della Gestalt di Trieste.
Dottor Baiocchi, che dinamiche relazionali si creano nelle coppie che vivono problemi di questi tipo?
Non sono relazioni fondate sullo scambio, sulla stima e sulla libertà. Ma sullo sfruttamento, sulla dominanza e sull’abuso da parte dell’uomo: un uomo che soddisfa solo gli istinti perché non è maturato esistenzialmente e sotto il profilo etico. Vuole sesso e la donna deve dargli sesso. Poi picchiare una donna in gravidanza, chiedendole di abortire, è un atto mostruoso. Ma il tema è anche un altro.
Quale?
La vittima. La donna da un lato ha paura, ma dall’altro è sedotta dalla dominanza dell’uomo. Perché questa è una caratteristica che, soprattutto nel processo di innamoramento, appare come una capacità protettiva. Entra in gioco il “cervello antico”, non addestrato all’etica. Ma in questa poca maturità esistenziale che porta l’uomo a usare violenza come forma di affermazione, per la donna la relazione diventa una trappola. Il fascino cade: quella che sembrava protezione, è aggressività, possesso. E le donne si ritrovano sole.
Come si gestiscono situazioni del genere?
Forme di sostegno con cui arginare e calmare la prepotenza maschile. Si realizzano ad esempio nei centri anti violenza. Ma serve un contenimento femminile “allargato” già prima che scoppino i problemi. E al di fuori della relazione di coppia. Ciò si costruisce ad esempio con i rapporti di amicizia tra donne. La donna così incrementa forza femminile, forza di “squadra”, un balsamo capace anche di trasformare nel tempo, laddove possibile, la dominanza maschile in determinazione etica. —
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