Piazza Unità, un teatro sul golfo

Lo spazio aperto sul mare più grande d’Europa è da sempre palcoscenico della vita cittadina e della sua evoluzione. Cinta da torri, animata da mercati o abbellita da giardini, ha ospitato prigioni, chiese e locande aperte tutta la notte
Lo spazio aperto sul mare più grande d’Europa è da sempre palcoscenico della vita cittadina e della sua evoluzione. Cinta da torri, animata da mercati o abbellita da giardini, ha ospitato prigioni, chiese e locande aperte tutta la notte

TRIESTE Piazza Unità è la più grande piazza aperta sul mare d’Europa. Ma non è l’unica caratteristica a renderla unica. Biagio Marin scrisse che venendo dalle Rive il visitatore la vede come dal boccascena di un teatro. E così può essere pensata, come un teatro, dove la città si dà appuntamento e il cui fondale è il golfo. Il suo aspetto mutò nel tempo: fu chiusa da una cinta muraria munita di torri, per metà destinata a un rigoglioso giardino, popolata da palazzi dagli usi più disparati, prigioni, locande, chiese, teatro. Di certo fu protagonista di processioni, amministrazione della giustizia, mercato. Teatro sul quale sono state calcate storie e vicende che hanno inciso l’anima di Trieste. Accomodati oggi in uno dei suoi caffè, lo sguardo vaga libero sulla piazza e può impigliarsi in mille suggestioni.

Il “liston” inizia e finisce col mare

A cominciare dai nomi che la accompagnarono: Maggiore, San Pietro, Grande, Unità e oggi dell’Unità d’Italia. E per soli tre mesi, durante la Prima Guerra Mondiale, a Francesco Giuseppe I. La piazza mutò significativamente il suo aspetto assumendo quello attuale dalla seconda metà del XIX secolo, quando si progettò di conferire a tutte le facciate degli edifici un aspetto omogeneo. L’esempio per eccellenza era palazzo Modello – da cui il nome – progettato da Giuseppe Bruni (1873). Una sorta di format, uno stampo che doveva essere replicato su tutte le quinte architettoniche affacciate alla piazza. Bruni in effetti firmò anche la facciata del municipio (1875).

Ma l’idea iniziale si arenò e gli altri edifici mantennero lo stile che li aveva contraddistinti alla fondazione o semplicemente seguirono un gusto diverso. La loro osservazione lo rivela: Palazzo Stratti (1839), alla cui base oggi c’è il caffè degli Specchi. L’eclettico palazzo del Governo (1905) con i colori che fecero corrugare la fronte di molti triestini dell’epoca e ancora, di fronte, i palazzi del Lloyd triestino, l’Hotel Duchi d’Aosta già “Vanoli” e, infine, l’unico edificio che conserva la sua matrice settecentesca, palazzo Pitteri (1780) detto anche Plenario dal primo proprietario. Edifici con calligrafie diverse a cui si aggiungono, in piazza, la barocca fontana dei Quattro Continenti di Giovanni Battista Mazzoleni (1751) – priva dell’Australia, non ancora acquisita come continente – e la colonna con la statua di Carlo VI che, con la proclamazione del Porto Franco, aveva promosso lo sviluppo della Trieste settecentesca, l’unico manufatto che mantenne nel tempo la sede originaria. Il suo braccio sinistro indica il futuro, il grande porto della città che sarebbe stato. La piazza sorse in un’area che in età romana era sommersa e che si andò formando progressivamente nel Medioevo, dove il potere civile edificò i suoi spazi alternativi al potere religioso allora sul colle di San Giusto. All’epoca era circa la metà di quella attuale, munita da un poderoso sistema difensivo con ben tre torri: Torre delle Beccherie, Tor Grande o del Porto e Tor Fradella, la cui immagine stilizzata divenne insieme all’alabarda il simbolo della città giuntaci intatta attraverso il sigillo trecentesco di Trieste.

Molti documenti che potessero attestarne l’evoluzione bruciarono nell’incendio (1690) del primo palazzo comunale, dove andò perduto gran parte dell’archivio pubblico. Edifici con funzioni diverse si succedettero nei secoli. C’era il palazzo Magistraturale, la loggia, anche l’edificio voluto dal Comune per i feneratori, i prestatori di denaro. Con uno sforzo d’immaginazione, dove oggi c’è palazzo Modello vedremmo la chiesa di San Pietro che fu anche cappella civica, dovendo rispettare il primato del duomo di San Giusto, e sede di adunanze. La piazza si concludeva nel limite del Palazzo comunale, la cui torre aveva tre campane che disciplinavano con i loro rintocchi gli ordini della giornata. Alle 11 davano il via al mercato. Le trecche, ovvero le rivendugliole, non potevano vendere prima di quell’ora e dovevano terminare due ore dopo, quando i commerci si trasferivano nella vicina piazza Piccola. La campana dell’Arengo chiamava i nobili al Consiglio; un’altra annunciava una morte o una sentenza capitale, che però non veniva eseguita mai in piazza ma in cima al colle di Montuzza.

L’unica giustizia lì amministrata era la berlina, una pigna di pietra alla quale veniva legato il condannato pubblicamente esposto con un cartello al collo indicante la colpa commessa. Non solo: i delitti compiuti in piazza prevedevano il raddoppio della pena corrente nelle altre contrade cittadine giungendo, nei casi più gravi, al bando per quattro mesi oltre Muggia e Duino. In piazza c’era anche il teatro di San Pietro, superato poi dal Teatro Grande, l’attuale Verdi. Sorto nel 1707 all’interno del Palazzo del Comune, era un’ampia sala dedicata a spettacoli musicali, balli e commedie dell’arte. Divenne un vero teatro nel 1751, dotandosi di palchi e scena e divenendo il riferimento della vita culturale triestina. Qui si tenevano anche pubblici balli mascherati, distinti tra balli nobili e balli popolari detti “Petizze” perché l’ingresso costava due petizze, due monete da 15 carantani ciascuna. Anche la condotta era regolata dalla polizia con ferree norme di condotta: non venivano ammesse maschere dal “vestiario schifoso” e la maschera era obbligata a svelarsi prima dell’uscita dal teatro. La piazza era chiusa al mare e a presidiarla c’era la Torre del Mandracchio. Nel portico della Torre era esposto un quadro della Madonna detta “del Porto”, invocata a fine giornata dai marinai mentre le porte della torre venivano chiuse per la notte.

Venne abbattuta nel 1838, preceduta dalle prigioni nel 1837 che sempre sulla piazza si affacciavano. Non mancò la nota verde. Dal 1865 e fino il 1919 la piazza fu ingentilita da un giardino, ben recintato e dotato di panche, costruito dove si trovava il Mandracchio, tra il palazzo del Governo e quello del Lloyd (oggi sede della Regione). La storica compagnia di navigazione, che edificò la propria sede sull’ex mercato del pesce, celebrò la sua vocazione anche attraverso le due fontane in facciata del palazzo: Venere, che rievoca la propria nascita dall’acqua salmastra e da cui sgorgava acqua di mare; Teti, la madre di tutte le divinità fluviali, da cui zampillava acqua dolce. Nel corso dei secoli molte furono le locande e gli alberghi con affaccio sulla piazza che ospitarono personaggi di rilievo. Nella storica Locanda Grande sostarono personalità come François René de Chateaubriand, Giacomo Casanova, l’archeologo e teorico dell’arte tedesco J. J. Winckelmann che qui vi trovò la morte. Una curiosità: ai tempi della Locanda Grande esisteva in piazza il caffè Carrara, ritrovo di rivendugliole e capiscarichi di giorno e di compagnie di spettacolo del vicino teatro a tarda sera, l’unico con il diritto a rimanere aperto tutta la notte a differenza degli altri obbligati a chiudere alle due del mattino al rintocco della campana comunale. Tante storie ancora vi sarebbero da raccontare, ma già queste bastano forse a dire come la storia di piazza Unità sia unica. (L’immagine è della Fototeca dei Civici Musei Trieste). – (2 – Continua)

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