Piattaforma affondata al largo di Pola, un dossier accusa: rischi ambientali
La struttura per l’estrazione del metano “Ivana D” era stata distrutta dal maltempo alla fine del 2020
POLA Lo scrive il settimanale zagabrese Nacional, che da una fonte austriaca non precisata avrebbe ottenuto documenti riservati e relativi alla piattaforma metanifera Ivana D, adagiatasi sul fondale dell’Adriatico alla fine del 2020, schiantata da moto ondoso e vento.
La struttura, che ora si trova ad una profondità di 40 metri e a circa 50 chilometri al largo di Pola, rappresenterebbe un grave pericolo perchè potrebbe essere la causa di una fuoriuscita di metano in mare, tanto inarrestabile quanto dannosa per l’ambiente marino e soprattutto per l’impatto che avrebbe sul clima e sul riscaldamento globale.
Prima di Natale, il Nacional sostiene di avere ricevuto un dossier contenente anche il video girato per conto della compagnia petrolifera croato – ungherese Ina (proprietaria della piattaforma) da parte dell’azienda lombarda Breda Energia.
Nel filmato, che dovrebbe risultare rigorosamente segreto, si evidenziano quelle che sono state definite lesioni drammatiche subite dall’affondata Ivana D, danni che potrebbero far precipitare la situazione, peraltro già nel mirino degli ambientalisti di Greenpeace. Finora il governo croato e l’Ina tengono un profilo estremamente basso sulla vicenda, preferendo non sbottonarsi e attendere i risultati dell’inchiesta tuttora in corso. Gli esiti, a detta di voci ufficiose, si avranno non prima di qualche mese.
Intanto il Nacional ha promesso che nel prossimo numero rivelerà tutti i dettagli di documenti che potrebbero risultare scottanti e che, scrive il settimanale, sarebbero stati inviati all’attenzione del presidente della Repubblica, Zoran Milanović e di una lunga serie di deputati di tutto l’arco parlamentare croato. Intanto la piattaforma metanifera giace in fondo al mare da ormai più di un anno, periodo in cui ciclicamente l’opinione pubblica e gli ecologisti chiedono e si chiedono se la chiusura del pozzo della struttura metallica sia poi così ermetica come affermato dalle autorità. Alcuni mesi fa, Greenpeace aveva dato vita a Fiume ad una pacifica manifestazione di protesta intitolata “Il profitto al business del gas, i rifiuti all’Adriatico”, rilevando che dopo l’incidente i rischi per l’ambiente sarebbero molto alti. «Siamo sicuri che non ci saranno fughe di metano in mare dal relitto della piattaforma – è quanto aveva chiesto Petra Andric, portavoce dell’organizzazione croata di Greenpeace – la preoccupazione è tanta e le rassicurazioni non ci bastano. Servono fatti concreti».
L’Ina aveva risposto che la piattaforma era stata messa in sicurezza dopo il cedimento, non rappresentando un pericolo per il mare e la navigazione. Era stato inoltre sottolineato che i costi di costruzione avevano toccato i 12 milioni di dollari, con Ivana D entrata in funzione nel 2001 e regolarmente controllata. Non ci fosse stato l’affondamento, la piattaforma sarebbe rimasta in attività per altri vent’anni.
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