Piano della rete oncologica, «il “no” dell’Isontino è un atto coraggioso»
L’ex direttore Balani plaude alla decisione dei Comuni di Gorizia e di Mossa: «Hanno dimostrato quanto ci tengano al territorio». E smonta le tesi regional
«Mi sento di dover ringraziare i sindaci di Gorizia e di Mossa, l’assessore alla Salute di Monfalcone e anche l’ex primo cittadino della stessa città per la loro presa di posizione e per il loro coraggio. Hanno dimostrato, con la loro determinazione, quanto ci tengano al nostro territorio e alla nostra salute, mettendo da parte altri tipi di ragionamento».
Non ha dubbi Alessandro Balani, già direttore del Dipartimento chirurgico isontino di Asugi. Torna sul Consiglio delle autonomie locali che, nonostante le resistenze isontine, ha dato il via libera al Piano di riorganizzazione della rete oncologica.
«C’è chi canta vittoria ma a me sembra piuttosto una vittoria di Pirro perché l’Isontino, Latisana e Udine non hanno espresso un voto favorevole. Dalle nostre parti, in particolare, due voti contrari e un’astensione. Dico che vittoria non è, perché un progetto di questo tipo, per esser credibile, deve avere l’avvallo di tutto il territorio, cosa che non c’è stata».
Ma perché l’Isontino si è ribellato a questo piano? «Bisogna tornare un po’ indietro ed analizzare alcuni punti - premette Balani -. La Regione ripete in maniera insistente che “è ora di finirla con l’ospedale sotto casa” e che le patologie oncologiche devono essere concentrate per garantire migliori risultati. Analizziamo questo aspetto. Ormai, da anni, i chirurghi di tutta la regione, da seri professionisti quali sono, si sono tra loro accordati per concentrare le neoplasie del pancreas, del fegato e dell’esofago nei Centri dove c’era maggiore casistica e maggiore esperienza: il tutto con telefonate, whatsapp, mail in assenza (questa sì che è una grave carenza) di una rete organizzata. Sta di fatto che nessuno a Monfalcone o a Latisana si sarebbe mai sognato di operare un cancro dell’esofago a casa propria. La rete, quindi, già l’avevano creata i professionisti valutando loro (cioè chi è sul campo di battaglia e non dietro ad una scrivania) come e dove concentrare i malati. Sempre i professionisti decidevano quali interventi fare nelle proprie sedi, in base alla loro esperienza professionale. L’ospedale sotto casa non esiste ormai da decenni. Noi siamo avanti».
Aggiunge Balani: «Si è detto che bisogna garantire i risultati migliori concentrando, ad esempio, il colon ed il retto nei centri ad alto volume. Ma cosa si intende per alto volume? Ogni Regione si è comportata diversamente senza regole così rigide come quelle imposte dal nostro Piano. Solo in 3 Regioni sono stati presi in considerazione i volumi. In tutte le altre, i criteri adottati sono stati diversi e mai si è parlato di volumi, tranne che per i tumori della mammella. Altra frase ripetuta più volte: “Senza un’adeguata casistica ne va di mezzo la salute dei pazienti.” Verissimo, ma torniamo sui tumori colorettali che sono al centro di questa discussione. Il Registro nazionale dei tumori analizza i dati di sopravvivenza a 5 anni in base alla provincia di residenza. E cosa emerge? Emerge che i risultati della nostra regione sono eccellenti e che non c’è alcuna differenza statisticamente significativa all’interno delle singole province, e cioè che un paziente operato al retto a Monfalcone o a Gorizia vive a 5 anni come uno operato a Udine».
Balani torna sui volumi. «Non mi voglio più ripetere sulla disparità di analisi dei dati dove, di qua, si sommano due reparti (Udine), di là si dividono (Gorizia e Monfalcone). Ma, se volumi devono essere e se la legge è uguale per tutti, come si spiega che Gorizia ha il numero più alto di interventi alla vescica di tutta la regione e dal Piano non li potrebbe più fare e che Latisana ha più retti di Udine e perderebbe questi interventi? Non sapendo più cosa inventare ecco che compare la parola magica: è una “questione di sicurezza”. Ma allora non è sicuro operare la vescica e il retto mentre è sicuro operare la mammella ed il rene? I conti non mi tornano».
Il professionista attacca anche la scelta di togliere la tabella con le crocette «sugli ospedali incriminati, lasciando però il testo da cui poi si ricava la tabella. E non serve a nulla promettere che, poi, saranno i tecnici a decidere su un testo già scritto. Non era forse meglio coinvolgere prima i tecnici e dopo approvare il Piano? Perché mai lasciare fuori i chirurghi quando si parla di riorganizzazione della rete chirurgica oncologica? Forse, perché non avrebbero mai avvallato queste scelte. Troppi dubbi, troppe incertezze, troppe contraddizioni e tutte a carico dei piccoli ospedali».
La chiusura è nel segno della consapevolezza «che noi professionisti non siamo più soli, che tutto l’Isontino è compatto per difendere il suo ospedale e che toccare Gorizia è come toccare Monfalcone e toccare Monfalcone è come toccare Gorizia. Non so se il Piano, così com’è scritto, diventerà definitivo ma una cosa è certa: noi vigileremo per verificare che quanto ci è stato promesso verrà mantenuto: che nella commissione di cui l’assessore tanto parla ci siano i chirurghi della nostra area e di tutti i piccoli ospedali, che il conteggio dei volumi sia uguale per tutti, che si seguano le indicazioni delle altre Regioni senza voli in avanti, che ci sia rispetto per il nostro lavoro e la nostra professionalità. Uniti sarà più facile». —
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