Piano dell’Ue per i profughi afghani, ma arriva il no di Polonia e Slovenia
Al confine con la Bielorussia sono già iniziati i lavori per la costruzione di un muro alto due metri e mezzo
INVIATO A BRUXELLES Nel giro di una settimana, l’Unione europea potrebbe annunciare il numero di cittadini afghani che è disposta ad accogliere attraverso i corridoi umanitari. O almeno questo è l’obiettivo che si sono posti i vertici istituzionali di Bruxelles e i funzionari che stanno gestendo i contatti con le capitali per definire i dettagli del piano. La presidenza slovena ha convocato per oggi una riunione dei 27 ambasciatori proprio per discutere della questione, mentre la prossima settimana ci sarà un vertice straordinario dei ministri dell’Interno. Il Regno Unito ha già promesso che aprirà le porte e assicurerà la protezione internazionale a 20 mila afghani, idem il Canada. La Commissione europea punta a incassare impegni concreti da parte dei governi Ue, ma già si sa che non tutti saranno a bordo.
La questione dell’accoglienza sta creando tensioni in varie parti d’Europa. L’altra notte 250 manifestanti hanno cercato di impedire l’accesso a un centro di accoglienza nei pressi di Utrecht, nei Paesi Bassi, dove sono attesi circa 800 rifugiati provenienti da Kabul. In Polonia, 32 cittadini afghani sono bloccati da due settimane al confine con la Bielorussia, dove tra l’altro sono iniziati i lavori per la costruzione di un muro alto due metri e mezzo.
Varsavia non li vuole accogliere e quindi non consente loro di presentare la domanda d’asilo, mentre Minsk non se li vuole riprendere. In una situazione simile, alla frontiera tra Lituania e Bielorussia, si trovano 41 curdi iracheni. Ieri è intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha imposto a Varsavia e a Vilnius l’obbligo di assisterli con «cibo, acqua, vestiti, cure mediche adeguate e, se possibile, con un riparo temporaneo». Il premier sloveno Janez Jansa, che guida il semestre di presidenza dell’Unione, si è già detto contrario all’accoglienza: la riunione di oggi degli ambasciatori è stata convocata per discutere di immigrazione, ma anche per «assicurare una risposta dell’Ue alle possibili minacce alla sicurezza».
Nei giorni scorsi il commissario europeo Paolo Gentiloni a l’Alto Rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, avevano evocato il possibile utilizzo della direttiva per la protezione temporanea del 2001, fin qui mai applicata. Lo strumento è stato pensato per far fronte a eventuali afflussi di massa di richiedenti asilo e prevede un’armonizzazione delle procedure in tutta l’Unione europea per garantire fino a tre anni di protezione internazionale, accesso a casa, lavoro, welfare, cure mediche e istruzione per minori. È stata pensata per condividere gli oneri tra gli Stati membri e per la sua applicazione non è necessaria l’unanimità, ma non ci sono obblighi di accoglienza: i trasferimenti da un Paese all’altro possono avvenire solo su base volontaria.
Nonostante le prese di posizione di Gentiloni e di Borrell, all’interno della stessa Commissione c’è molto scetticismo sul possibile utilizzo della direttiva. A considerarla inadatta è anche la commissaria Ylva Johansson, responsabile degli Affari Interni. Per la svedese bisogna intervenire a monte ed evitare che si ripetano le scene del 2015, con i flussi di migranti lungo la rotta balcanica. «Non dobbiamo aspettare che i rifugiati afghani arrivino alle nostre frontiere – ha detto ieri a Euronews –. Dobbiamo intervenire molto prima. E questo intervento, ovviamente, deve essere anche di tipo economico».
Bruxelles ha congelato un miliardo di euro di aiuti allo sviluppo destinati all’Afghanistan, ma ha quadruplicato (da 50 a 200 milioni) i fondi per l’assistenza umanitaria. Gli Stati dovranno però incrementare il sostegno economico ai Paesi che confinano con l’Afghanistan per finanziare l’accoglienza dei rifugiati. Contatti sono in corso con Iran, Pakistan e Tagikistan per un piano che prevede il coinvolgimento dell’Unhcr ed è possibile che venga ridiscusso anche l’accordo con la Turchia.
Ma i governi dell’Unione sono ben consapevoli che non potranno limitarsi all’ospitalità a distanza, per questo continuano le trattative per far sì che i reinsediamenti in Europa vadano oltre una cifra puramente simbolica.
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