Petrolio in Adriatico, l’ira della Slovenia
TRIESTE. Ci risiamo. Gli screzi tra Slovenia e Croazia sembrano non finire mai. Stavolta a scatenare le proteste di Lubiana sono le trivellazioni che saranno effettuate in Adriatico alla ricerca di giacimenti di gas e petrolio e per le quali Zagabria ha già distribuito le concessioni alla statunitense Marathon Oil, agli austriaci della Omv, all’italiana Eni e alla croata Ina.
Ad alzare la voce è il ministro dell’Ambiente della Slovenia, Irena Majcen la quale sostiene che dei progetti croati è venuta a conoscenza solamente dalla stampa. Lubiana chiede dunque ufficialmente di essere cooptata nella valutazione transfrontaliera relativa all’impatto ambientale e questo in base alla Convenzione internazionale sugli impatti transfrontalieri sull’ambiente e una direttiva del Parlamento europeo. Insomma si è ripetuto, per la Slovenia, quanto avvenne con l’Italia al tempo del progetto dei rigassificatori nel golfo di Trieste.
«La Slovenia ritiene - afferma il ministro Majcen - che l’attuazione di questo programma potrebbe avere significative ripercussioni ambientali transfrontaliere che interesserebbero anche il nostro territorio per cui la Croazia avrebbe dovuto avvisarci in modo ufficiale di quanto stava accadendo». Bisognerà, secondo Lubiana, informare anche tutte le istituzioni governative locali nonché l’opinione pubblica slovena.
Da sottolineare anche che le aree settentrionali date in concessione da Zagabria per le ricerche petrolifere si trovano a ridosso del confine marittimo tra Slovenia e Croazia a tutt’oggi non ancora stabilito e che anzi è in attesa della decisione dei giudici internazionali che decideranno sull’arbitrato in corso. Proprio per questo motivo il ministero degli Esteri sloveno aveva già fatto le sue rimostranze nell’aprile del 2014 a quello croato guidato dal ministro e vicepremier Vesna Pusi„. Da sottolineare come anche alcune istituzioni italiane con la Regione Veneto su tutti hanno espresso perplessità sulle perforazioni in Adriatico e hanno chiesto informazioni più dettagliate in merito al progetto croato, mentre la Farnesina, già qualche mese fa, ha dichiarato di tenere nella dovuta attenzione quanto sta accadendo nella parte croata dell’Adriatico, anche se, non dobbiamo dimenticare, di mezzo c’è anche l’Eni.
In tutta questa vicenda inoltre c’è una sorta di convitato di pietra, ossia il rigassificatore che sarà costruito a Veglia sotto un fortissimo impulso americano che vuole essere una risposta alla rinuncia di Mosca a costruire il gasdotto South Stream. Nei Balcani occidentali è in corso una grande partita relativa al fondamentale gioco degli approvvigionamenti energetici con la Russia che punta a giungere sull’Adriatico attraverso Serbia e Croazia e Washington impegnata a tamponare tutti i vulnus che si sono creati grazie anche alla crisi in Ucraina. Dunque tra rigassificatore e pozzi petroliferi off-shore l’Adriatico sembra improvvisamente diventato una specie di nuovo golfo del Messico da dove “succhiare” la linfa vitale dell’oro nero. Ma l’Adriatico è un mare chiuso e qualsiasi incidente che possa coinvolgere petroliere o gassiere rischierebbe di diventare un disastro ambientale di grandi proporzioni che nè la Croazia (che dal turismo in Dalmazia trae linfa ancor più vitale dell’oro nero per la sua economia), né la Slovenia, né tantomeno l’Italia (leggi isole Tremiti) possono permettersi.
Vigilare, dunque, è la parola d’ordine senza dimenticare che dietro alle concessioni ottenute in Croazia da alcune società petrolifere c’è un gioco molto più grande che coinvolge il futuro della geopolitica dello sfruttamento energetico in Occidente.
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