Petrol Lavori scommette sul futuro con due stelle del “rating legalità”

Lara Radin ha ereditato dal padre il timone dell’azienda: «Lui un esempio di correttezza e generosità»



Guarda con rinnovata fiducia e determinazione alle sfide del mercato la Petrol Lavori spa di San Dorligo della Valle, oggi amministrata da Lara Radin, che ha raccolto il testimone dal padre Walter e che con rammarico, proprio durante la fase del passaggio generazionale, ha constatato come un «unico errore di percorso», relativo a fatti avvenuti quasi dieci anni prima a Messina, possa essere costato all’azienda di famiglia la, seppure temporanea, cancellazione dall’“elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa”.

Il provvedimento a firma del prefetto di Trieste, Valerio Valenti, era stato emesso il 4 giugno 2020 e successivamente revocato, in forza dell’accordo che la stessa società aveva raggiunto con l’ufficio di governo rispetto a una effettiva rinuncia alle cariche sociali di Walter Radin. L’errore, quello pagato per l’appunto con l’interdittiva antimafia, si era tradotto in una condanna per associazione per delinquere e traffico illecito di rifiuti speciali, pronunciata dalla Corte d’appello di Messina il 17 luglio 2017 e confermata dalla Cassazione il 30 settembre 2019. Quanto basta, secondo il decreto legislativo 159/2011 – il cosiddetto Codice antimafia – per impedire il rilascio della documentazione antimafia.

E far finire quindi la società nella black list. Formalmente, Radin, che ora ha 64 anni, nel giugno del 2018 aveva già provveduto a spogliarsi di qualsiasi carica, costituendo l’usufrutto in favore della figlia delle quote di cui era proprietario con contestuale riserva sulle stesse della nuda proprietà.

L’istruttoria avviata dal Gruppo interforze, tuttavia, aveva accertato come, nella realtà dei fatti, avesse continuato a tenere le redini dell’azienda, intrattenendo rapporti con i clienti e conservando «poteri decisionali – recita l’interdittiva – in materia di affidamento delle commesse». Non un semplice “tecnico della produzione di servizi”, quindi, ma il dominus della società, pronto a «costruire azioni elusive» pur di «aggirare gli effetti della ostatività della sentenza di condanna». Da qui, tenuto conto «del perdurante ruolo di governo dell’azienda», la comunicazione in prefettura e la decisione di rigettare l’istanza della società d’iscrizione all’elenco.

Da allora lo scenario è cambiato e così come Radin senior è «del tutto estraneo alla compagine societaria e alla sua amministrazione», fa sapere la figlia Lara, «non vi è nulla, nell’ultradecennale vissuto della Petrol Lavori, che possa far dubitare della sua certa e totale estraneità, passata e presente, a interessi mafiosi». La società – aggiunge – è tutt’ora iscritta nella “white list” della prefettura ed è detentrice di due stelle del rating di legalità, attribuite dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Fin qui i meriti aziendali. Che, va da sé, sono il frutto dell’operato dei suoi amministratori. «Sono orgogliosa di essere sua figlia, perché solo grazie ai suoi valori, alla determinazione e al suo amore per il lavoro ha dimostrato che se hai un obiettivo, con onestà e costanza puoi portarlo a termine», ha quindi tenuto a sottolineare Lara Radin, nel tratteggiare la figura del padre. «Solo da quando gli sono subentrata – osserva – mi sono resa conto delle enormi responsabilità che questo comporta e come tutte ricadano sull’amministratore, per quanto coadiuvato da esperti collaboratori e consulenti. Mio padre – continua, accennando ai fatti di Messina –, si è sempre distinto per correttezza e generosità, contribuendo nell’assoluta anonimia al benessere della comunità con importanti donazioni. Si è sempre distinto per la sensibilità verso persone con disagi sociali, da dove proveniva lui stesso, senza nessuna discriminazione, dando la possibilità a ognuno di rivalutare le proprie capacità in ambito sociale e lavorativo, con crescita professionale ed economica». Ecco perché fa male, alla fine di un percorso di «onorato lavoro», scoprire che si parla di lui per un iter giudiziario ormai concluso e non, piuttosto, «per raccontare quanto di buono ha fatto in quarant’anni di lavoro, sacrifici e impegno». —



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