Pesci alieni nel Mediterraneo: «Colpa del canale di Suez»

Paola Del Negro (Ogs di Trieste): «Compromesso l’eco-sistema. Avvistate specie del Mar Rosso». Invasione di meduse pericolose e barracuda oceanici
Rhopilema nomadica, una medusa altamente orticante
Rhopilema nomadica, una medusa altamente orticante

TRIESTE. Un esemplare di pesce luna recentemente avvistato al largo di Fiume. Un marlin bianco catturato nelle acque di Rapallo. E poi il barracuda oceanico, Sphyraena viridensis, il pesce serra, il pesce balestra e la Ostreopsis Ovata, l’alga tossica che negli anni passati ha tenuto in apprensione i bagnanti della riviera ligure. Sono solo alcune delle specie marine che stanno colonizzando il Mar Mediterraneo, nonostante la loro presenza sia tipica delle acque tropicali. Vengono anche chiamate specie lessepsiane, dal nome dell’imprenditore francese Ferdinand de Lesseps, a cui si deve la realizzazione del canale di Suez, corridoio di ingresso nel Mediterraneo di questi esemplari “alieni”. Negli ultimi decenni, infatti, si è assistito a una migrazione di specie esotiche nel Mare Nostrum, complice il riscaldamento globale che ha portato all’innalzamento di temperatura delle sue acque, favorendo il loro insediamento e la loro proliferazione.

Il recente raddoppio del canale di Suez, consistente in un ampliamento di 72 chilometri, parallelo a quello già esistente, rischia di far degenerare ulteriormente questo fenomeno e di compromettere definitivamente la biodiversità e il funzionamento dell’ecosistema del Mediterraneo. «Il canale di Suez ha contribuito in modo rilevante a modificare la biodiversità del Mediterraneo – spiega Paola Del Negro, direttrice della sezione di Oceanografia dell’Ogs di Trieste, l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale. Per i primi 80-100 anni dalla sua costruzione, avvenuta nel 1869, i Laghi Amari, laghi salati attraverso cui passa il canale, hanno rappresentato una efficace barriera per le specie del Mar Rosso». La salinità di quelle acque, evidentemente, era troppo elevata, tanto da rappresentare un confine per determinate specie tropicali, oltre il quale non avventurarsi. «Lentamente – continua Del Negro – la salinità di quelle acque è diminuita, a causa del processo di diluizione, lasciando il via libera alle specie del Mar Rosso. Il raddoppio del canale di Suez aumenta la portata di questo corridoio e di conseguenza la quantità di acqua e di organismi che fluiscono nel Mediterraneo». Attualmente nel Mediterraneo si possono contare almeno 700 specie tropicali e la loro presenza è molto maggiore nel bacino orientale. Nei mercati del pesce israeliani, per fare un esempio, vengono vendute quasi esclusivamente esemplari tropicali. «Sono arrivate specie tossiche come il pesce palla e la medusa Rhopilema nomadica – così Del Negro - , che può arrivare a pesare fino a 10 chilogrammi.

Lungo le coste israeliane hanno causato problemi agli impianti di desalinizzazione, intasandone le condotte e bloccando le centrali elettriche che utilizzano l’acqua di mare come scambiatore di calore. Sono inoltre urticanti e con il loro peso riescono a rompere le reti dei pescatori. Dapprima confinate alle coste israeliane, queste meduse sono state segnalate di recente in Tunisia e lungo le coste maltesi, confermando una colonizzazione di tutto il bacino meridionale».

Difficilmente è prevedibile l’impatto che queste specie avranno sull’ecosistema che stanno pian piano colonizzando. Potrebbero rimanere confinate a qualche area oppure potrebbero soppiantare specie autoctone, creando modificazioni consistenti sull’intera catena alimentare. Sono i rapporti fra le specie, infatti, a garantire il funzionamento dell’intero ecosistema. Difficilmente questo processo può considerarsi reversibile. Lo sviluppo delle specie tropicali è imprevedibile. Negli anni ’70, per fare un esempio, venne introdotta in Adriatico, a fini sperimentali, la specie Crassostrea gigas, l’ostrica portoghese, che negli ultimi decenni ha soppiantato l’Ostrea edulis, l’ostrica autoctona. «Fra i nuovi ingressi si segnalano anche dei pesci del genere Siganus – sottolinea la biologa dell’Ogs – che sono dei brucatori, che si comportano come fanno le capre sulla terraferma, e che stanno contribuendo alla desertificazione dei fondali». La situazione nell’Alto Adriatico sembra essere sotto controllo e anche gli avvistamenti di specie alloctone vanno attentamente valutati, in quanto possono essere di natura sporadica. Anche questa porzione di mare risente del riscaldamento globale e dell’approvvigionamento di acque levantine che entrano nel bacino. Cosa fare per tenere sotto controllo un fenomeno che sembra assumere dei contorni preoccupanti? Alcuni ricercatori hanno proposto di rendere di nuovo amari i laghi salati, lungo il canale, sversando le salamoie degli impianti di desalinizzazione.

Una proposta di base, comunque, sembra essere quella di tenere sotto stretto controllo la biodiversità del Mar Rosso, cercando di intervenire nel caso si evidenzi l’esplosione demografica di alcune specie. La comunità scientifica, pur conscia dell’importanza vitale del commercio navale per la società, ha espresso pareri preoccupanti sul raddoppio del canale di Suez, auspicando la definizione di misure di mitigazione e soprattutto sollecitando le autorità a effettuare una valutazione del reale rischio ambientale. «Sono stati scritti diversi appelli e petizioni – conclude Del Negro - , alle quali hanno fatto seguito le firme di oltre 200 ricercatori, provenienti da 25 Paesi del Mediterraneo. Speriamo che prevalga la saggezza e che si consideri quanto sostenuto dallo stesso Santo Padre, che nella recente enciclica ha riportato l’attenzione sull’ambiente».

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