Pertsch, il neoclassico tra bellezza e degrado

Dal Verdi restaurato al Carciotti che fatica a rinascere. Il celebre architetto firmò anche molti palazzi di civile abitazione che oggi è difficile mantenere
Lasorte Trieste 15/10/11 - Petrsch, Pallazzo Camera di Commercio
Lasorte Trieste 15/10/11 - Petrsch, Pallazzo Camera di Commercio

di Gabriella Ziani

Gli occhi cadono sempre lì, sull’imponenza di quelle colonne e di quella cupola che fanno di palazzo Carciotti uno dei simboli architettonici di Trieste neoclassica, e sugli stenti in cui si trova per essere riportato all’originaria integra bellezza. Si tende a dimenticare il suo autore, e tutta la mappa di quel che ha firmato in città. Che altrettanto fatica a sopravvivere. Se quell’architetto magicamente tornasse, magari portandosi dietro qualche dote tipica di quel primo ’800 che lo vide freneticamente ed elegantemente costruire (e cioé quattrini e velocità), darebbe una mano ai moderni, forse orgogliosi ma certo impoveriti.

Matteo Pertsch, nato nel 1769 sul lago di Costanza, allievo all’Accademia di Brera a Milano di Giuseppe Piermarini (l’autore del teatro alla Scala), arrivò nella città-porto dell’Austria proprio chiamato dal mercante greco Demetrio Carciotti, e dopo quell’augusto palazzo sul Canal Grande progettò nello stesso stile la Rotonda Pancera, e quindi l’imponente facciata del Teatro Verdi (che della Scala è quasi una copia), e un’incredibile quantità di altre bellissime cose.

Si devono a Pertsch il faro della Lanterna (il primo di Trieste), il maestoso ingresso del cimitero di Sant’Anna, la facciata della chiesa greco-orientale di San Nicolò, molte case di civile abitazione: via Mazzini 11, via Roma 5, via Cadorna 16 e via Diaz 17, via Torino 34, corso Italia 4, via Madonna del mare. Alzando gli occhi, la firma si riconosce: colonne vere o suggerite, bassorilievi, balconcini lunghi di leggerissimo ferro battuto, oggi in molti casi abbastanza arrugginiti.

Solo il teatro Verdi, pur adesso gravato da debiti interni, all’esterno è fiammante, grazie al radicale restauro degli anni 1992-1997, mentre la comunità greca da tempo lavora al proprio tempio. Tutto il resto ha storie diverse, in certi casi esemplari di che cosa significhi mantenere una «casa Pertsch».

Pezzo importante si trova in corso Italia 4, è «casa Steiner» (1824). L’ampio foro commerciale alla base ospita uno noto negozio di calzature. Il corpo superiore, in tutti i libri citato e fotografato, è come il viso di un antico minatore, nero di smog e smangiato. L’amministrazione che l’ha da 4 anni in carico racconta come di anno in anno i proprietari degli enormi appartamenti siano costretti a rimandare il restauro: «Sono urgentemente da rifare facciate e parti interne, atrio e vano scale, il preventivo supera i 300 mila euro, in più il palazzo è vincolato dalla Soprintendenza nelle facciate e negli interni, questo significa che oltre a un direttore dei lavori è obbligatorio assumere anche un architetto». Il cui onorario andrebbe a sommarsi ai 300 mila euro, per un totale presumibile di 350 mila euro da dividere solo fra 13 proprietari.

E non basta. Trovandosi in una zona di super-centro come corso Italia, l’occupazione di suolo pubblico da pagare al Comune per un lungo periodo di impalcature «è alle stelle». Agevolazioni? Incentivi? «Abbiamo chiesto tempo fa al Comune, la risposta è stata che nulla si può avere, che non ci sono soldi». E così su quella casa Pertsch, patrimonio cittadino, è stato negli anni rifatto solo il tetto, il resto risale alle origini, cioé all’Ottocento.

In via Torino 34 il palazzo col panduro sul portone e teste umane e animali a guarnire il fondo del balcone (detta «casa Covacevich» ma costruita nel 1821 per Leopoldo Mauroner, uno dei primi proprietari di teatri a Trieste), la situazione non è tragica, il palazzo è quasi per intero di una società. Tra gli inquilini un intenditore, l’architetto Claudio Visintini: «È stata installata sul tetto una enorme antenna per telefonini - protesta -, e la Soprintendenza ha dato il permesso». Negli anni ’50 fu costruito l’ascensore, il «casotto» dei motori, sempre su quel tetto, venne mimetizzato con un’altana, oggi ben visibile anche perché svetta con piante e alberelli.

«Interventi che hanno alterato la casa di Pertsch - dice Visintini, critico anche su come si stanno ripavimentando le vie sottostanti -, che ha avuto proprietari importanti: dopo Mauroner, a metà ’800, il vescovo. Poi passò a un ramo della famiglia Stock (che aveva un cementificio a Spalato), adesso due piani sono a uffici, l’ultimo è abitazione. Ancora con tutti i pavimenti originali».

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