Perseguitava i vicini: a processo
Aveva collezionato in due mesi e mezzo, tra fine settembre e metà dicembre dell’anno passato, una decina di denunce, chiudendo le “performances” al Coroneo prima di ritrovarsi “confinato” a Bisceglie, sua terra natale, a casa della sorella, con in tasca un divieto di dimora, manco di rientro dunque, a Trieste. E l’altro giorno, proprio a Trieste, proprio mentre si trovava in Puglia, il presidente della sezione Gip Raffaele Morvay l’ha rinviato a giudizio, accogliendo così la richiesta del pubblico ministero Pietro Montrone, che gli contesta una pesantissima serie di ipotesi di reato che spazia dalle ingiurie alle minacce, dai danneggiamenti al porto d’arma abusivo, dalle intimidazioni alle lesioni personali, dagli atti persecutori alla resistenza a pubblico ufficiale. Un vasto repertorio, insomma, attribuibile a colui che, sintetizzando, per tutto ciò che gli viene addebitato, può essere considerato un vero e proprio “prototipo” di stalker condominiale. Pietro C.D.T., 59 anni, disabile, il “terrore” degli inquilini del palazzo in cui lui stesso viveva, al civico 2 di via San Daniele, nel “tranquillo” cuore di San Vito, sarà dunque processato: la prima udienza a suo carico risulta già fissata, il 22 ottobre prossimo, davanti al giudice monocratico Pietro Leanza.
Nel corso dell’udienza preliminare che come si è detto ha aperto le porte di un processo, il giudice Morvay ha ritenuto più che “sufficiente”, evidentemente, ai fini del rinvio a giudizio, la sfilza di contestazioni, querele e relative persone offese (ben sei di cui anche due carabinieri, la più “tormentata” delle quali, una coinquilina di 42 anni, si è anche costituita parte civile in quanto vittima del presunto reato di stalking) portate in aula dal pm Montrone. L’inizio delle “gesta” e dei conseguenti guai dell’imputato viene fatto risalire dal magistrato inquirente - che ha diretto le indagini portate avanti dai carabinieri - a fine settembre 2013, nel momento in cui Pietro C.D.T. aveva scritto con un pennarello indelebile e pure poi inciso, presumibilmente con una chiave, l’epiteto più offensivo per una donna, sulla cassetta delle lettere della coinquilina che poi s’è costituita parte civile. Da lì era scattata un’escalation di situazioni assolutamente fuori controllo.
Qualche giorno più tardi, ad esempio, aveva coperto d’insulti al telefono l’amministratore dello stabile: “Conosco la macchina che hai, al mio paese le persone come lei si gambizzano”. E più s’avvicinava il clima natalizio, più il suo autocontrollo andava a farsi benedire. Aveva preso a martellate più volte il portone del palazzo, eppoi era tornato alla carica con la propria inquilina “preferita”. Quando gli capitava d’incontrarla la offendeva o peggio ancora la minacciava: “Prima ti brucio la casa e poi ti brucio”. Ma anche quando non la incrociava sapeva come tenerla sotto pressione: le aveva rotto il campanello accanto alla porta, le aveva inciso la scritta “infame” sulla buca delle lettere. A un altro vicino aveva gridato: “Io sono la mafia, ti uccido”. Il giorno dell’assemblea condominiale - sempre secondo le ricostruzioni del pm - un nuovo passo senza ritorno. Aveva fatto capire di non aver preso bene il fatto che qualcuno dei coinquilini avesse chiamato il 112: “Grazie a Dio ho a che fare con grossi delinquenti, se si presentano di nuovo i carabinieri darò fuoco a tutta la casa, verrete puniti tutti”. “Ma la paghi, bella mia”, aveva aggiunto davanti a tutti guardando la donna che aveva preso di mira, che si era quindi ritrovata scritta, sulla porta, un’altra frase inquietante: “Morirai con un tappo in bocca”. Altri due coinquilini, in quel periodo, avevano avuto incontri ravvicinati con lui. “Farò ancora delle cose, chiamerò un killer”, l’aveva giurata a uno dei due, mentre l’altro era finito a terra con tutta la telecamerina con cui lo stava filmando. L’epilogo il 16 dicembre: arrestato per aver sfondato il portone condominiale con la stampella, era stato portato in una stanza di sicurezza della caserma di via Hermet dove era stato sorpreso poi a sventrare un materasso con un coltello.
Ai due militari dell’Arma che l’avevano in consegna aveva millantato conoscenze nella Dia, la Direzione investigativa antimafia, promettendo loro un trasferimento a Lampedusa. E invece il trasferimento, d’imperio, è toccato a lui. Il gip Luigi Dainotti l’ha spedito a Bisceglie, a passare il Natale con la famiglia. E lì c’è rimasto, per il sollievo dei suoi ex vicini.
@PierRaub
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