Perseguitati da Ankara. La Slovenia nega l’asilo
LUBIANA. Sono scappati dalla “democrazia” di Erdogan e, imboccata la rotta balcanica, pagando il loro prezzo ai trafficanti di uomini sono arrivati fino in Slovenia. Loro non sono profughi “normali”, ossia siriani, afghani o iracheni in fuga dai propri Paesi. Loro sono tre famiglie turche che se fossero rimaste in patria avrebbero dovuto subire l’ira del “pascià” di Ankara perché accusati di far parte del gruppo di Fertullah Gülen accusato di aver tentato il 15 luglio del 2016 il colpo di stato proprio contro Tayyip Erdogan.
Giunti in Slovenia hanno fatto richiesta di asilo politico, ma si sono visti rifiutare la propria istanza dal ministero degli Interni di Lubiana per il quale la Turchia di oggi è un Paese democratico e sicuro.
«La Turchia - si legge in un comunicato dello stesso ministero - nella decisione presa dal governo nel febbraio del 2016 è stata inserita nel gruppo dei Paesi sicuri». Resta la possibilità, prosegue ancora il ministero degli Interni, che si possa di fatto derogare a questa decisione se il singolo è in grado di dimostrare che questo Stato, se egli vi dovesse fare ritorno, non gli garantirà i diritti umani previsti dal diritto internazionale.
Ed è proprio questo che Lubiana ha in pratica risposto alle tre famiglie turche. Come dichiarato, infatti, dal 34enne che fa da capofila al gruppo il ministero nella sua risposta negativa alla richiesta di asilo ha argomentato che in essa non vi sono le prove inequivocabili che alle famiglie, qualora facessero ritorno in Turchia, pur essendo sostenitrici di Gülen avrebbero subito danni irreparabili.
Il capofila o portavoce qual dir si voglia, delle tre famiglie lavorava in una delle università di Istanbul ed era un volontario del movimento di Gülen, non apparteneva alle alte gerarchie del gruppo anti-Erdogan che viene accusato da Ankara di aver preparato un colpo di stato ed ora è disperato perché non sa in quale altro modo spiegare al ministero degli Interni della Slovenia che se facesse ritorno in Turchia rischierebbe di essere ucciso. Egli è altresì convinto che la Slovenia non vuole concedere l’asilo perché «non vuole avere problemi con il regime di Erdogan - come ha dichiarato l’esule al Dnevnik di Lubiana - pur sapendo che cosa sta succedendo in quel Paese dopo il tentato golpe». Adesso il gruppo, dopo 17 mesi di attesa, farà ricorso al tribunale ben sapendo che dovrà aspettare ancora un bel po’ per conoscere il proprio destino.
La decisione del ministero degli Esteri diventa molto importante anche per gli altri 180 turchi in fuga da Erdogan che hanno depositato la propria richiesta di diritto d’asilo in Slovenia.
Il caso, quindi, assume una dimensione rilevante e rischia di diventare un caso diplomatico. Un caso politico invece lo è già diventato visto che alla notizia del rifiuto di concedere asilo politico alle tre famiglie turche gli eurodeputati sloveni Tanja Fajon, Igor Šoltes e Franc Begovič hanno immediatamente affermato, in una dichiarazione congiunta, «di seguire con molta preoccupazione l’evolversi della situazione dei turchi che hanno richiesto asilo politico in Slovenia visto quanto sta succedendo in quel Paese dopo il fallito colpo di Stato. L’altro eurodeputato, Ivo Vajgl, invece, fa notare come in questi casi bisogna che ciascun Paese «rispetti la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e dei principi di libertà a cui tutti siamo legati».
Il ministero degli Interni della Slovenia ha comunicato che dalla data del colpo di stato in Turchia in Slovenia 108 cittadini di quel Paese hanno fatto richiesta di asilo politico. Di queste 108 sono state bloccate in quanto i richiedenti hanno abbandonato il luogo dell’asilo temporaneo, 27 sono state rigettate in quanto delle stesse era responsabile un altro Paese (leggi Croazia primo Paese Ue che i profughi incontrano sulla rotta dei Balcani) e 11 sono state bocciate.
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