Però: in futuro al Rossetti meno musical e più cultura
«Il Rossetti deve essere un teatro di riferimento per tutta la regione. Non per niente si chiama Stabile del Friuli Venezia Giulia». Franco Però, fresco direttore artistico del Rossetti, non ha dubbi nonostante il cognome avversativo.
Il Messaggero Veneto ha titolato: «Lo Stabile Fvg sceglie Però. Spiragli di intesa con Udine». Conferma?
È un’opportunità importante. Il ministero ha dato una spinta a dividere i teatri tra teatri nazionali e teatri di rilevante interesse culturale. Il problema è anche finanziario: per i teatri di interesse nazionale gli enti locali devono dare il cento per cento di quello che dà il ministero tramite il Fus, mentre per i Tric gli enti locali possono dare solo il 40%. Ovvio che molti teatri tenteranno di diventare teatri nazionali.
Come valuta il progetto di Teatro nazionale che vede il Rossetti assieme al teatro stabile di innovazione Css e all’Accademia Nico Pepe entrambi di Udine?
Mi sembra una cosa molto logica. Serve una scuola di teatro e in regione c’è la Nico Pepe. Il Css è una realtà di tutto rispetto, conosciuta a livello nazionale e non solo.
Un “matrimonio” che s’ha da fare, insomma...
I matrimoni non si fanno solo per interesse. Mi sembra un progetto culturale interessante. Trieste non può non avere un Teatro nazionale: è la città più teatrale d’Italia. Con soli 200mila abitanti ha un teatro lirico (Verdi), un teatro stabile di iniziativa pubblica (Rossetti), un teatro stabile di iniziativa privata (Contrada), un teatro stabile di lingue minoritarie (Sloveno) e un teatro multidisciplinare che ospita di tutto (Miela). Una cosa che non ha pari paragonata al numero di abitanti.
Non si rischia il rigetto a unire un teatro stabile tradizionale (il Rossetti) con uno di innovazione (il Css di Udine)?
No. Anzi può essere una buona cosa anche se le differenze vanno messe in conto. Bisogna confrontarsi. È una sfida culturale con tempi purtroppo stretti: entro il 31 gennaio, stando alla legge, i teatri devono decidere che tipo di domanda da fare.
Ma cosa cambia realmente con il decreto Franceschini?
La riforma spinge di più sulla produzione e sul fatto culturale. È una cosa importante. I teatri stabili sono nati per produrre. È un ritorno all’origine.
E l’idea di una compagnia stabile?
Necessaria. È l’unico modo per produrre stando dentro nei costi.
Sul modello del Teatro di Roma?
Roma ha fatto una cosa molto astuta che si può fare in poco tempo. Ha preso un grosso regista come Peter Stein. Il Teatro Due di Parma, di cui sono socio, ha una compagnia da diversi anni.
La nomina al Rossetti l’obbliga a lasciare qualche cariche?
Dal cda della Cooperativa Bonawentura (Teatro Miela) mi dimetto immediatamente. A Parma non ho alcuna carica. Sono semplicemente socio della cooperativa.
Non l’imbarazza di essere stato un po’ il candidato predestinato al Rossetti...
Non lo so. So che siamo andati avanti fino al 15 settembre. Sono arrivate oltre 70 candidature. Sono passato tra due selezioni. E sono uscito da un consiglio di amministrazione di 5 ore. Che cosa doveva ancora accadere?
L’intervista completa sull’edizione cartacea in edicola oggi, mercoledì 17 settembre.
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